La collaborazione tra la scrittice/poetessa
Lisa Olstein e il songwriter
Jeffrey Foucault va avanti nel progetto
Cold Satellite (“
It’s a cold collaboration. Once (Olstein) hands off the work, she doesn’t weigh in” dice Foucault. “
I think it works -out guitar rock and the poetic expression of the lyrics”) è materia narrativa incandescente quella di
Cavalcade, rock e poetica del dolore, la teoria del melodramma ne racconta il risveglio improvviso con la splendida accoppiata iniziale di
Elegy (In a Distant Room) e
Necessary Monsters.
Sospeso tra calcolo e mito, l’universo del rock è quello che meglio esemplifica il sistema dell’emozione capitalizzata e il sestetto dei
Cold Satellite convince, nella coloritura uniforme della slide guitar di David Goodrich e nel gioco di bagliori saettanti e contrasti luminosi (
Pearlescant e
Silver Whips), dove la pedal steel del veterano musicista di Nashville (
Alex McCollough) assegna nuovi paesaggi, urbani e campestri tra le ballate di
Bomblet e
Cavalcade.
Spunta una sottile ma acuta connotazione country, utile a raffreddare, dilatare e irrigidire tempi e spazi nelle altre interessanti ballate di
Careless Flame e
Glass Hands (animata dalle tastiere di Hayward Williams). Anche se la trama nel finale è di facile ‘lettura’ (
Sleepers Wake e
Elsewhere presentano alcuni passaggi melodici scontati quanto inevitabili), la forza del rock torna a bussare alla porta di
Cavalcade, una porta che non fa fatica ad aprirsi sulle note della vibrante bellezza di
Tangled Lullaby lasciando alla riflessiva
Every Boy, Every Blood l’ultima parola.
Una di quelle ballate che non hanno lo stesso significato se fuori c’è il sole o piove, si consuma per attimi, costruita su una serie di frammenti emotivi incastrati nel tempo della pedal steel. Si ripetono identici, a creare una sorta di vuoto attorno al rilievo pressante di
Cavalcade. E va oltre.