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Il refrain di
On the Road è uno di quelli che rimangono sempre più in là della parola (dell’idea che ne stai facendo mentre Matt Myers e Katie Toupin cantano “
I’m going down where nobody knows me”), in quel carico metaforico della strada si sviluppa l’esordio del quartetto degli
Houndmouth. Rilasciano in
Come On, Illinois e
Ludlow forza e mistero del rock anni ‘70, non tappano le aperture di senso al contemporaneo, ma costringono
From the Hills Below the City in direzioni obbligate.
Con le tastiere di
Penitentiary / Halfway to Hardinsburg e la slide guitar di
Houston Train, si lasciano andare ad un vagabondaggio melodico acqueo, elettrico ma leggero e malinconico nella conclusiva
Palmyra, riuscendo a costruire un disco assolutamente particolare, dove l’emozione prende a ondate, come in
Krampus, aiutata dallo splendido lavoro alla chitarra nella vibrante
Casino (Bad Things) e nella corale bellezza di
Hey Rose e
Long As You're at Home.
In questo senso la cura targata anni ’70 non è semplice ‘calligrafia estetizzante’, ma geometria di un rock nitido, essenziale nel modo in cui gli
Houndmouth ne colgono il fantasma che le abita in
Comin' Round Again. Si sovrappongono ad essa come un guanto senza mai perdere parte del suo brio, contenendola e mantenendo una vitalità pur sempre rara nel piatto mercato discografico contemporaneo.