Un bel giretto di 5 anni a distribuire affreschi sul classico e nostalgico rock anni ’70 e poi in studio a registrare il secondo disco, la band di Vancouver dei
Mad Shadow resta vincolata alle spigolosità della chitarra di Daniel James e ai contrasti -tra luci e ombre- di un viscerale blues in scia con le geometrie tracciate dalla voce di Eril Olufson. Ricalcano gli stati d’animo più violenti tra
Rocking Chair e la sinuosa tranquillità dei 6 minuti di
Bad Man dove il blues vive soprattutto nei movimenti interni delle chitarre che si propagano in perimetri chiusi nella coriacea
Evil.
Si avverte la presenza del cuore pulsante del rock, si racconta al passato come nella deliziosa
Low Down Dirty Boogie, con la ferma volontà di non ripetersi i
Mad Shadow partono da materiale sul quale l’ascoltatore ha preconcette nozioni col fine di distaccarsi da questo per fare ‘altro’ in
Heavy Blues (title-track compresa, 7 minuti per esplorare e sperimentare).
La carica attraente di
Poppin' (Up On Suzie) non aggiunge nulla di nuovo, può essere vero, ma lo è altrettanto, credo, lo spirito di resistenza o di sfida con cui i
Mad Shadow accettano il rischio di calarsi nel ‘classic rock’ (l’invidiabile freschezza della trascinante
Headed Down to Georgia) cercando e trovando il modo di sequestrare i colori del blues in
The One to Get e
What I Told You Before.
Heavy Blues non ti lascia senza fiato, ma cresce dentro e ti viene voglia di tornare a riascoltarlo.