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Recensione del 23/05/2013
La ‘strada’ per il 15esimo disco di Steve Earle, le tante miglia percorse con i The Dukes che tornano ad affiancarlo (Chris Masterson, Eleanor Whitmore, Kelley Looney, Will Rigby e Allison Moorer) “I’ve been on every interstate highway in the lower forty-eight states by now and I never get tired of the view,” racconta Steve. “I’ve seen a pretty good chunk of the world and my well-worn passport is one of my most prized possessions, but for me, there’s still nothing like the first night of a North American tour. God I love this.” Con The Low Highway, Steve Earle smussa la vena politica che ha caratterizzato l’ultimo decennio in musica, ma lascia sempre aperta una porta onde permettere alla realtà del sociale di irrompervi. Stavolta sceglie di soffermarsi su storie e caratterizzazioni di personaggi su cui riflettere, ne sono un esempio le splendide The Low Highway e Burnin' It Down, la disperazione affonda in periferia, tra fisarmonica e pedal steel, a plasmare un corpo profondamente materico, concreto e vivo, evocativamente palpabile con i fantasmi che popolano anche la successiva Calico County. Steve Earle attraverso sonorità diverse, rock, bluegrass, folk e country, trova una sede per The Low Highway in grado di amplificarne l’impatto comunicativo e stratificarne la portata emotiva. La fisarmonica e il violino reggono la brillante That All You Got? e Love's Gonna Blow My Way, intervenendo sul reale, fluidificando lo stato di cose e confini apparenti in After Mardi Gras e Invisible, affermando una scrittura che gli permette di accordarsi a se stesso in un movimento di intelligibilità storica in Pocket Full of Rain e in Warren Hellman's Banjo (tra l’altro, come scrittore, ha 2 libri in cascina, un romanzo, racconto di uno schiavo sopravvissuto alla battaglia di Alamo e l’altro con l’amicizia, non facile, con Townes Van Zandt, agli anni di prigionia a Nashville e la successiva rinascita con la musica). Il tutto per ristabilire, nel finale, lo statuto primario e privilegiato dell’immagine e dello sguardo sulla strada con la deliziosa Down the Road Pt II, uno sguardo che, nel caso di 21st Century Blues, è di incantevole bellezza e meravigliosa limpidezza se sommato alla ballata finale di Remember Me. Insomma, vale la pena, quindi, fidarsi di questa sensazione e provare a capire che cosa l’ha determinata perché i dischi di Steve Earle non sono tutti uguali, non pesano allo stesso modo e non lasciano mai le stesse tracce.
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