Hebbronville, nei pressi di Laredo, Tx, una chiesa dove insieme al padre,
Pake Rossi suonava Bluegrass & Gospel music. Un paesaggio che non concedeva ambizioni prospettiche particolari, ma che si è trasformato in un fondale verosimile per la sua musica: la provincia, le tradizioni dei songwriter texani, le radici del folk e del country sono diventate la semplice quinta scenografica per il giovane songwriter
Pake Rossi.
Il primo segnale è arrivato con il pregevole debutto di
For All That It’s Worth, un disco semplice, arioso e farcito con i caldi profumi del Texas, tanto luminoso da scacciare i tempi bui che hanno preceduto l’attesa di
Mercy of the Mountain, uno di quei dischi che non passerà via come una semplice meteora.
Pake Rossi conserva nel complesso una genuina compattezza autoriale, i testi brillano in una realtà che è solo la pedana da cui prendere slancio, per arrivare sempre più in là,
Take It or Leave It e la
Title-track la spostano continuamente sotto la spinta di una ricca strumentazione (lap steel, armonica, pedal steel, banjo e fisarmonica) nel tempo e nello spazio della melodia.
Sull’onda di questo stato emotivo continua a muoversi con leggerezza
Mercy of the Mountain, parole e note si moltiplicano, si diffondono, si allargano, in modo embricato e sovrapposto tra le deliziose
Broke In e
A Song for Avis, anche quando il passo accelera col piglio selvaggio ed elettrico di
What I Do to Get Through e
Don't Blame Me. Più che semplicemente alternato, parallelo o simmetrico, il perché è semplice, a volte all’interno di una singola melodia compare un elemento che la ridefinisce, il pianoforte e lap steel in
The Chill,
AC Roar o nella semplice bellezza della conclusiva
Someday, la arricchisce e ne agevola il senso e l’armonia.
Pake Rossi la fa propria anche quando procede solitario, chitarra e voce, in
Long After You've Gone perché lo spazio intorno alle cose non conta, contano solo le cose in sé, e ciò che da essa emana. Il motivo per cui vi basta
Mercy of the Mountain e nient’altro.