14 anni dopo il satirico capolavoro di
Salivation, il capitalismo con la fede in ‘
Jesus and Johnny Cash’ resta, ma cambiano i particolari per lo scultore, pittore, scrittore (senza dimenticare la vasta attività teatrale)
Terry Allen. Quel che adesso resta solo un titolo cui la memoria può aggiungere qualche emozione residua, cambia in
Bottom of the World, perché la musica vera, sopra le immagini e le emozioni, è ricondotta alla sacrosanta attualità. “
Bottom of the World reminds me of someone who is constantly thinking, ‘I might do this’ and ‘maybe I should go there’ and ‘maybe I’ll do that’, but none of it ever happens - he never goes to any of the places he talks about”.
Terry Allen inizia a spostarsi su un piano dolce, elettro-acustico, tra i ‘
Four Corners’ del Colorado a (re)incontrare
Juarez, quel gran ‘concept album’ fa da filtro, da specchio deformato, da finestra, attraverso la quale gettare ancora uno sguardo sulla storia di quei quattro stranieri ‘
on the road’ da miscelare con l’ironia di un ‘
dog killer’ nella suadente bellezza di
Queenie's Song, poetica e misteriosa, pedal steel e i sapori al confine messicano, in quella Santa Fe scelta per vivere.
Terry Allen conserva l’idea dell’incursione in un universo irrimediabilmente altro, l’ariosità del paesaggio texano e le sue contraddizioni, entra il pianoforte ad affiancare la lap steel nella splendida
Hold On To the House, le coloriture del fango di periferia sporcano
Angels of the Wind e si spingono al centro di
The Bottom of the World -la title-track-, altra gemma acustica di confine (“
I’ve read some awful things things about Cuernavaca. Sounds like a place to go”).
Sopra tutto questo volteggia
Terry Allen, lieve e vago, mordace quando occorre, sempre disposto ad abbandonarsi al piacere dell’acustico, fantasioso per
Emergency Human Blood Courier (“
I was in Albuquerque on the freeway, and I saw a little car with that written on the side. I had never seen a sign like that on a vehicle”) uno spunto per alcuni poco interessante su cui
Terry Allen può appiccicarci qualsiasi cosa.
Un violino nella deliziosa
Sidekick Anthem, un ricordo cinematografico, quello di
John Wayne nella sublime
Wake of the Red Witch, la storia conflittuale con/di un’icona e di un appuntamento col destino che non sembra mai materializzarsi all’orizzonte. Storie e pensieri roteano in
Bottom of the World, giravolte, accostamenti e bizzarrie tra
Do They Dream of Hell in Heaven, nella tragedia greca di
The Gift (la storia sul crollo della dinastia dei
Madoff) all’amore per il giocatore
Joe Harvy in
Covenant).
Insieme a costruire un disco di dettagli, come in un film, dove si vive beatamente per 40 minuti, perché solo così tutto torna a splendere di luce riflessa, a rimandare a qualcos’altro. Una pagina letteraria, un quadro, un verso, una scultura, un suono, un titolo,
Bottom of the World dove si celano goccie di saggezza, l’ombra della bellezza.