Honcho è materia liquida e instabile che, accompagnata da pungenti percussioni, disossa e cerca gli scheletri del ‘classic rock’, le ossa dei
Quaker City Night Hawks. Nati e cresciuti a Fort Worth, il quartetto texano ne osserva le emozioni con la lente grandangolare delle chitarre, deformate nell’esordio del 2011 di
¡Torquila Torquila! e senza tradirle, hanno dato vita al brillante
Ep dello scorso anno (
Live at Magnolia Motor Lounge), per poi confluire nel cono di luce particolarmente luminoso di
Honcho, segno di un mondo ancora abitabile: “
We had grown so much since ¡Torquila Torquila! that we wanted to show people (l’Ep, n.d.c.) that recording kind of shocked us when we heard the rough mixes, 'cause it was really good. We didn't know at the time that we were being recorded. They didn't tell us until the morning after. Honcho has a lot more of that energy and I think it comes across very well.”
La fiammeggiante densità di
Fox in the Hen House, l’accumularsi di echi anni ’70 che non raggiungono mai un livello di saturazione, è un gran bel biglietto da visita per
David Matsler e
Sam Anderson (voci e chitarre),
Matt Mabe (batteria) e
Patrick Adams (basso), il ‘bruitage’ della slide guitar accompagna le battute cadenzate di
Crack at the Bottle con eloquente immediatezza, come una pennellata di chiaroscuro applicata a forme già definite dal colore del rock, primario nel ritmo di
Lavanderia (“
Dave and I”, spiega Sam Anderson. “
We literally wash all our clothes at lavanderias and laundry mats. It’s kind of a picture what it’s like at one of those places”) e nella travolgente, luminosa bellezza di
Cast the Line.
In un panorama odierno dove il ‘classic rock’ resta uno spazio massimamente delimitato,
Honcho è un riferimento cruciale per i
Quaker City Night Hawks trovando il modo di interpellarlo con insistenza, nella splendida
You Got It Easy, una melodia fatta di calde schegge sonore avvolte dall’armonica che la guida e la sostiene. In
Honcho le chitarre non perdono mai il loro primato, non diventano mai una presenza secondaria, una funzione provvisoria di uno spazio-tempo nel cuore di
Witch Kitchen, seguono il ritmo delle tastiere in
Greasy Night e delle percussioni nel fascino sinistro di
Rattlesnake Boogie e
Stable Hand. “
I hope people like the record for its honesty,” dice il frontman Anderson. “
It's real raw and genuine. ... It's my favorite thing that I've ever played on”.
Un disco bello e genuino come la malinconia che entra nell’intensa ballata di
Yellow Rose, ma
Honcho non ne risente, dolcemente fluttuante in piccoli spazi, a fermare il tempo del rock, fissarne un attimo per trasformarlo in liricità, coinvolgendo nel finale l’intro di
Train Rolled Home prima di lasciar spazio al fervore del rock n’ roll. La firma sulla libertina
Sweet Molly, intrisa di pregnante ‘polisemia’, capace di pulsioni sciolte nella demitizzante concretezza espressiva che è il modo di essere del ‘
classic rock’.