Una lunga, vibrante, intensa attività live per
Arianna Antinori da non lasciare spazio alle ombre che si aggirano lungo i margini del mito di
Janis Joplin, il punto di svolta della sua vita e carriera.
Nel 2010 vince il 1° premio in concorso canoro -a livello mondiale- indetto dalla famiglia della Joplin, un fantasma che ha abitato fino al 2011 la vita di
Arianna Antinori nell’incertezza fra il desiderio di un disco personale e la sua negazione come ‘tribute band’. Ebbene la bella Arianna arriva a coglierne l’essenza per il modo in cui riesce a introdursi in questo scarto, una voce splendida spinge
I Give in un’area di transizione tra i fondali del passato, blues-rock viscerale, psicadelico anni ’70, con proiezioni nel futuro.
L’aiuta la strumentazione di Jean-Charles Carbone e Marco Fasolo, nel cuore di un’appassionata
Freedom c’e spazio anche per l’armonica di Marco Pandolfi con una lunga sosta nel roboante ristagno del rock che arriva a mischiarsi nel soul tra
Gone,
I see you e
You know (convince meno
Shut up).
Quando non si agita, come su di un palcoscenico,
Arianna Antinori riesce a soffermarsi nelle zone dello spirito, splendide
For my Friend e
Our Days, il loro fascino fonda sulla cura dei dettagli al pianoforte (la conclusiva
The river's end), perché ogni dettaglio rimanda a qualcos’altro di cui si coglie una risonanza distante nell’unica cover, quella
Can’t Be the Only One, l’oscuro brano della Joplin scritto nel 1968.
La scelta del coinvolgimento o quella del distacco sono le due facce di
Arianna Antinori con cui gioca seduta al piano, nel suo fluire lento, come un fiume. Il tempo necessario per travasare il peso della storia, placcato di ricordi, nel proprio lucente futuro.