2 sta per doppio, ambiguo, come la base del suono dei
Churchwood, il blues, visionario dalle foci del Mississippi da cui la band di Austin torna a sondarne le mutazioni. La sperimentazione, infatti, è una frontiera da varcare solo quando ci si sente sicuri, come un casa che dolcemente ci attende, il magazzino di
2 è pieno zeppo delle distorsioni alla chitarra di Bill Anderson.
A solo un anno dall’acclamato esordio omonimo (“
Right now, we have 30 songs,” dice Doerr. “
If we practiced two or three times a week instead of once, we’d have twice that many. Things just click when we’re all together in a room jamming”), torna a liberare la voce possente il ‘professore e poeta’
Joe Doerr, spinge sulle percussioni di
Duende, la vita non è (lo è mai stata?) meravigliosa, un deserto vuoto e purificatore si apre davanti a
2 con un nuovo punto d’origine e di rinascita.
Il rock si tinge di tematiche molto care a
Tom Waits nei deliziosi 6 minuti di
Keels Be Damned, dall’altra il blues non è mai sfondo, illumina
Weedeye e
Fake This One assolve in pieno la tenebrosa funzione di tramite tra la vita e la morte che inseguono circolarmente i
Churchwood nelle loro visioni.
Si moltiplicano tra
Aranzazu e una
I Have A Devil In Me armonizzata dall’armonica, ma il punto di partenza è il fotogramma nero della rappresentazione in musica del Diavolo e nel finale i
Churchwood si muovono su quello sfondo, ne seguono gli spostamenti con una avvolgente sezione fiati che arriva da Memphis in
A Message From Firmin Desloge e
Money Shot Man, invertendo la direzione e ribaltando le posizioni focali di
2 con un tocco funky nella fascinosa
You Be The Mountain (I'll Be Mohammad) ma senza creare confusione. L’armonica di
New Moon ribadisce che non c’è un centro di gravità in
2, ma una richiesta di tempo, quello necessario a trovare dei punti saldi dover poter crescere.