Al terzo disco il quartetto di San Francisco dei
The Stone Foxes opera una piccola sfasatura al blues/rock dell'esordio omonimo del 2008 e del precedente
Bears & Bulls, un’evoluzione in
Small Fires affinchè diventi qualcos’altro (“
We’re finding our sound in rock ‘n’ roll now,” dice il vocalist e chitarrista Aaron Mort. “
There’s no more blues covers or fairly obvious moves. We’ve gotten to the point where we’re experimenting outside our influences and carving out our own thing. We’ve really got something to say now”).
Le chitarre funzionano, pronte ad elevare un bel muro sonoro, travolgono e dilagano in
Ulysses Jones e
Cotto, mezze sospese in
So Much Better, o al fianco di una deliziosa armonica in
Everybody Knows pronta a fare breccia nelle difese di
Small Fires. I
The Stone Foxes a metà disco decidono di risvegliare le facoltè intrinsiche e opache di un ‘indie rock’ furbetto e commerciale, il pianoforte di
Battles, Blades & Bones diventa uno scivolo appuntato e proteso verso un nuovo stadio melodico, i
The Stone Foxes imboccano un’altra strada, una sterzata, un colpo d’ala che alla fine di
Cold Wind lascia una punta d'amaro, difficilmente digeribile a chi ha apprezzato i primi dischi.
Small Fires vive di queste anomalie, solo da
Talk To Louise i segnali, le scariche elettriche e il giusto voltaggio di
Small Fires torna su buoni livelli, non è fulminante in
Jump In The Water ma almeno il connubio tra chitarra e pianoforte che si fonde nel finale di
Goodnight Moon rende coerente i piccoli fuochi di
Small Fires.