Passaggio delicato quello di
Through the Fire, attraverso le fiamme dell’inferno, dalla morte alla vita, nell’angoscia tormentosa della rinascita, il ritmo iniziale dell’armonica impone una sistemazione nel continuum temporale della carriera di
Brandon Jenkins, perché la
Title-track apre a nuove visioni tra blues e rock, nascono, si sovrappongono, svaniscono, le une scompaiono, altre nascono dallo svanire delle prime.
L’undicesimo disco di
Brandon Jenkins è multiforme, un viaggio nei tempi moderni in un ‘inferno’ in cui solo affari e denaro hanno cittadinanza, al punto che anche il dolore ha diritto d’esprimersi solo se dà profitto, instabilità che si avverte nei 7 minuti di
Burn Down the Roadhouse e nella legnosa
Horsemen Are Coming, ma
Through the Fire è dispersivo, diluito in momenti introspettivi che si accumulano verso il centro.
Brandon Jenkins sente la necessità di riflettere, di lasciar correre la mente dietro le note di una canzone, brilla tra il lavoro alle chitarre nei 7 minuti di
Going Down to New Orleans e di
Oh What Times We Live In, dove per chi non si adegua, non si integra, diventa davvero dura in questa società.
A Tattoo Tears,
Dance With the Devil e alla pianistica
In Time il compito di costruirne l’altra parte del ‘racconto’,
Brandon Jenkins accetta il rischio di non dare una spina dorsale che tenga dritto
Through the Fire, ma la parentesi riflessiva è molto più interessante di quanto faccia temere.
Quando poi si torna a dosare blues e rock, si va sempre sul sicuro, il finale è costruito con estrema accuratezza nello scorrere della melodia secondo tappe rituali ben codificate dalle chitarre sulle quali soffermare
Leave the Lights On, la strumentale
Ridgemont Street, la deliziosa
Daddy Say e la conclusiva
Mountain Top (con un bel tocco di radici texane che non guasta mai). L’occasione per
Brandon Jenkins di ripartire, centro di gravità di
Through The Fire.