Delle mini-serie, ardite novelle e pagine di storia, la scrittura per
Ronny Elliott ha sempre, come dire, quel flusso di una prosa poetica, piace sempre l’idea di porre l’attenzione verso gli emarginati, gli umili che restano oppressi dalla struttura e dall’ideologia della società capitalistica, o semplicemente parlare di gente che del successo non sapeva cosa farsene.
Ironico e giocherellone quando ‘parla’ di “
like velvet painting of dogs playing poker or with Elvis and Marilyn Monroe and Einstein all in the same painting”, come quando decise all’inizio dell’avventura solista (dopo gli anni divisi con i
The Raveons negli anni ’60, poi seguito dai
Noah's Ark e dai
the Soul Trippers) di chiamarsi
Ronny Elliott and the Nationals, sapendo di non avere una band, proprio come in
I’ve Been Meaning To Write.
A cinque anni da
Jalopypaint, non cambia di una virgola l’asse della ballata triste, introspettiva, tra folk e rock ("
Sometimes people ask me 'Which of your records should I get?' I'm like, 'Look, if you like this one you'll like 'em all and if you don't like this one you're not gonna like any of them! Save your money!'") malizioso quando decide di dare ritmo a
My Blood is Too Red o nel finale quando racconta
Women Leave, pronto a dare leggerezza con le splendide
Driving Back in Time e
Goodnight Captain, l’acqua della vita per
I’ve Been Meaning to Write.
Ancora nel pianoforte in
These Dreams, un motivetto leggiadro che accompagna la slide guitar, alquanto irregolare nelle deliziose
Lmd e
A Doctor and a Lawyer, una leggerezza che è anche un’arte del togliere e dell’alludere in
Jamaica and the Angel.
La musica asseconda la malinconia dell’accaduto ma in realtà introduce sempre elementi di ‘disturbo’ come in
Handsome Harry the Hipster o con l’armonica in
Heart That Can't Be Broken, altre gemme in un fiume inarrestabile di parole alle orecchie dell’ascoltare che scorrono tra
Something Bad,
Jackpot City,
Boys in Hot Rods e
Nobody's Cool Any More, chiamato tra pedal steel, sezione fiati e slide guitar a rimettere in gioco i territori di
I’ve Been Meaning to Write.
Ghiacciati da
Ronny Elliott tra fede, il dovere, il disincanto, la concisione e la fierezza narrativa, indiscutibili pregi di
I’ve Been Meaning to Write. Disco sontuoso, impeccabile, dotato di un fascino che ammicca all’ascoltatore con leziosa noncuranza e lo cattura nella secchezza incisiva delle sue storie.