Dagli ardori polverosi dell’estate ai rigori impregnanti dell’inverno c’è sempre qualche disco che scappa via, facile quando si tratta di talentuosi singer-songwriter nascosti nel sottobosco fertile texano,
Scott Copeland è uno di quelli.
Si nutre di musica in silenzio, più o meno come le persone che preferiscono far colazione senza gente intorno, ammette frontiere ma rifugge i confini (country, blues, rock, ballata folk introspettiva)
Scott Copeland è un altro disco che si alimenta continuamente di nuova energia che agisce a livello puramente emotivo, nella lap steel e il passo morbido dell’iniziale
Riverbank Blues, tradizione cantautorale texana distribuita in uno schema ben collaudato (il rock, delizioso in
Hunter S, al blues in
Drinkin' on the Weekend, quella mistura calda e avvolgente di whiskey/Messico/dolore country in
Lonely with You e
Water to Wine, spalmato col mandolino e violino in un'altra perla come
Peddling the News).
Un po’ come il mare quando si ritira sulla spiaggia ad inglobare senza pregiudizi ciò che incontra sul cammino,
Scott Copeland si comporta con un solido songwriting, lo distribuisce nella sua classicità con uno smistamento ‘verticale’ dei suoi elementi, capaci di amalgamare commedia e dramma tra l’intensa chiusura di
October Dream e quando apre spiragli col passato in
Last Call for the Blues, con squarci di luce nell’armonica e nella slide guitar dotate di struggente bellezza in
True as You,
Gettin' Over you Blues e
Seventh Floor. Sarà per questo che
Scott Copeland riesce ad essere uno di quei dischi che ci fanno stare meglio, necessariamente da recuperare per un bel regalo di Natale.