TREY RUSHING & 277 SOUTH (Lay Down & Die)
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  Recensione del  18/12/2012
    

Nella piccola cittadina di Sonora, Tx, il giro ventennale sull’highway 277 South per l’honky-tonker Trey Rushing è servito per forare le falde discontinue del country, quelle decantate e fatte maturare entro il contenitore cristallino della tradizione di George Strait e Hank Williams, messe in circolazione entro le strutture espositive della slide guitar, costruite secondo la logica musicale del rock, e infine, armonizzate con la simmetria drammaturgica e la rappresentazione spirituale del Signore.
È tutto nelle chitarre di Trey Rushing, Tom Bob Wilson e Barefoot Mark Cullimore, in costante rotolamento a tracciare un solco divisorio in Lay Down & Die, più oscuramente intimo nella suggestiva e tenebrosa Title-track, in piena luce sull’aggregazione della realtà di una dancehall in In Here With the Past e Smells Me Drinking.
L’aspetto emozionale del country di Trey Rushing & 277 South trova un dinamico equilibrio nell’incantevole One Night Things, nella scelta di conquistare spazio a una amarezza che pervade sempre più la forma della slide guitar, un corpo che si solidifica nella spumosa On the Run, attraversa i confini messicani nel duetto magico di Vente Baca e Contico Bay con un moto latino uniformemente accelerato, li oltrepassa senza danni con tinte tex-mex, e spensierato viaggia a tequila verso Seattle e con pregevoli risvolti.
Lay Down & Die è capace solo di guardare su una superficie, per lo più angusta, dura e riflessiva come il vero country, immobilizzato all’interno di un orizzonte malinconico che continua a comandare in I Best Let You Go, sempre affacciato sul Texas, trovando in 3 Ball le proprie radici nello spettro della circolarità dell’eterno ritorno, la spada di Damocle che spinge in alto Lay Down & Die, forgiata con l’assistenza sulfurea del demonio e con l’amore per il country.