CHARLIE SHAFTER (Charlie Shafter)
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  Recensione del  18/12/2012
    

Charlie Shafter ha vissuto in Texas, Lubbock ha rappresentato una seconda casa dopo essersi trasferito dal Minnesota, musicalmente ricca, a 16 anni come tanti coetanei texani, ha iniziato a condividere musica al The Blue Light, il primo passo prima di mettere in piedi una band e registrare un discreto esordio nelle tradizioni locali, tra country, radici e rock. Poi l’Illinois, e cambia tutto, anche musicalmente con 17th and Chicago, il mainstream era dietro l’angolo e lo trova suo malgrado, ma per mettersi in salvo, per un bisogno di armonia decide di affidarsi al maestro Ray Wylie Hubbard e Charlie Shafter cambia ancora una volta. Terzo disco, elettro-acustico, i tempi poggiano sul folk introspettivo ma con le variazioni dell’americana e le influenze di R.W. Hubbard che entra anche nella stesura di un paio di brani.
Non ha mai scritto di piccole città, di strade sterrate solitarie e polverose, la periferia texana è un soggetto lontano, subentra una specie di nuova e vaga emozione che latitava in chissà quale parte, sempre a distanza di sicurezza dalla realtà, stavolta entra nello spazio di Charlie Shafter, una rarefazione acustica che mostra le carte da Morgan's Song, la pedal steel leggera accerchia le chitarre acustiche, le fulgide ballate di Dear Diana e Sea Wall dimostrano che la tempra del cantastorie rodato non sia un’infatuazione dell’ultima ora e nemmeno una necessità fatta virtù. Charlie Shafter si muove su sfondi freddi in mondi vecchi e nuovi tra Illinois e Jamila, dove vivere significa fondamentalmente lasciarsi vivere, vengono agitate come il mare dall’elettrico, dall’armonica in Big Debut e Drunk On Desire, nel moto proprio, estramente dolce del mandolino in Actor, sfondi che possono diventare ostili quando R.W. Hubbard ci metto lo zampino, nella cupa bellezza di Lost in a Crowd e nella convincente chiusura di Dog On a Chain.
Uno strato di ghiaccio sul mare acustico di Charlie Shafter ad amplificare da una parte quel freddo che soffoca l’anima ma anche a sottolineare una intensa composizione geometrica dello spazio melodico scoperta –sorprendentemente- da Charlie Shafter, capace di predisporre una densa cornice di suoni per controbilanciare sentimenti ed emozioni.