Ex giocatore di football Americano ancorato ai postumi dolorosi di un naufragio -il matrimonio, così denso da lasciar sfumare tutto il resto nel vuoto-, trova nel profondo del West Texas la strada della salvezza (“
The music simply ‘found me’ during this time” dice
Creed Fisher) la mente vana e vuota si rischiara in un universo di note che lo spinge dentro al disco d’esordio,
Down Here in Texas, nelle profondità delle radici dell’
outlaw country, sino a farlo riassorbire nella materia sensibilmente immota del texas rock.
La vibrante
Guitar Man enfatizza questo spostamento cadenzato che lascia subito il segno, come il paesaggio spoglio della fiammante
Down Here in Texas –la title track-, sponde elettriche abitate insieme ai
The Redneck Nation.
Creed Fisher le divide con Tim Kreitz anche nella brillante
I Ain't Scared, gli spazi aperti pronti a dare un senso di opportuno ‘raffreddamento’ a
Down Here in Texas, la pedal steel lavora con le giuste materie prime (cuore, alcohol e malinconia) deliziose le ballate
I'll Keep Drinkin' e
Have Mercy On a Man, con qualche cortocircuito (
I'm Crazy and You're Gone e
Come and Hold Me), molto probabilmente involontario perché la polvere sollevata continua ad amalgamarsi ai boots di
I Wanna Smoke One With Willie e
We're from Texas (What Country Are You From).
Tra l’una e l’altra immagine non c’è soluzione di continuità, montaggio spezzato e mosso anche nella selvatica
You Shoulda Been a Redneck, ma d’altronde è proprio l’aria che tira dalle parti di
Creed Fisher and The Redneck Nation, capaci di stemperarla nei mille rivoli di un paesaggio selvatico, quello di
Down Here in Texas.