Undicesimo album in venti anni, dietro la maschera di
Econoliner si rimette in gioco il piacere dell’intelligenza e il dolore dell’intelligenza di un songwriter che ha ancora qualcosa da raccontare sulla società americana, sul suo posto nella storia, sulla sua identità: “
When I came of age, the stuff I was turned onto was Willie (Nelson) and Jerry Jeff (Walker) and Townes (Van Zandt),” dice
Houston Marchman.
“
All of those guys wrote for the reason of having something to say.” Dolci le steel guitars in
Hand On The Wheel, il filo rosso per
Houston Marchman per legare a doppia mandata le genuine radici texane macchiate col blues che divampano nelle deliziose
Waitin' On A Train e
No Hook For My Hat, lo fa attraverso il fascino delle parole nell’attesa di un necessario scioglimento semplice e insieme poetico nella splendida ballata di
Econoliner. I dischi di
Houston Marchman sono come stazioni di servizio tra deserto e paludi, il rock è nelle corde di questo songwriter, ascoltare
Gatesville Girls, ma i confini melodici tra folk e americana sono come una griglia di riferimento nella costruzione di perfette ballate in cui hanno un ruolo primario i ‘colori’ della provincia americana, sempre rilucenti le steel guitars in
Wisdom Wall e nella struggente bellezza di
Drinkin' Double (dove l’uso della voce femminile,
Ali Holder, è sapientemente miscelato ad una melodia quieta, sommessa, recante con sé il peso di una dolorosa concentrazione alcolica e di una solitudine che non si placa nemmeno con la bellezza del suono).
Nel finale si rivivono calde atmosfere, ruspanti ed irrequiete in
When I Come Back To Farmin' e
Somewhere East, sa cambiare efficacemente registro e si indirizza da altre parti in
On My Own e
Ruby, ma
Econoliner appartiene tutto a
Houston Marchman che se lo ruba in un attimo quando canta
Lose Control per 4 emozionanti, interminabili, miracolosi minuti. Ad una settimana dall’ascolto è ancora dentro la mia testa, come se avesse scavato cunicoli nella mente e si fosse accucciata sul fondo.