JACKSON TAYLOR BAND (Goin’ Down Swingin’)
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  Recensione del  30/06/2004
    

No apoligies Niente scuse. Jackson Taylor e la sua potente band, in cui primeggiano ancora il piano tonitruante di Mark Belaire e la chitarra dura di Ronnie Belaire, si scagliano con forza verso l'ascoltatore e riempiono l'etere di rock and country selvaggio e pulsante. Echi di Jerry Lee Lewis, intro rollingstoniani, canzoni che hanno il diavolo in corpo, Jackson non è cambiato, né lo ha cambiato il successo. È ancora indipendente, beve ancora litri di birra e fa musica sana. Si presenta con una copertina decisamente brutta il quarto disco del texano, ma Hollow Eyed and Wasted non era certamente meglio, ma la musica non perde un colpo.
Rock and country solido e pulsante, canzoni intense, piano e chitarra sugli scudi, e la voce chiara del nostro che non ha dimenticato la lezione di Yoakam, ma che ha nel cuore le gesta di Waylon, Billy Joe e Jerry Lee. Il Texas ha la forza di proporre musicisti di questo spessore e Jackson Taylkor è ormai un leder della musica indipendente nel Lone Star State. La band ha una chitarra in più, Tony Redman, ed un suono più tosto. Non mancano le ballate, la rigogliosa If I Could Have It in My Mind è il miglior biglietto da visita, ma il rock 'n' country regna sovrano. Apre la tonica Whiskey & Women, vitale e secca, ritmata e solida, con le chitarre di Belaire e Redman che giocano a rincorrersi, ed il piano di Mark che comincia a lavorare a fondo, vibrando con continuità dietro ad ogni canzone. Taylor ha una voce intensa e potente e il dualismo con il piano viene alla luce in ogni canzone.
Goin' Down Swingin' richiama le atmosfere di Hollow Eyed and Wasted con le chitarre che raggiungono incroci quasi southern, mentre Country State of Mind (di Hank Williams Jr) inizia come Honky Tonk Women dei Rolling Stones. Un intra chitarristico classico per una ballata elettrica dal ritmo honky tonk, con piano e chitarre che la fanno da padrone. La ricetta sonora di Taylor non è mutata e, bisogna dirlo, funziona. Si vi piace il suono rock and country ruspante, elettrico e vitale questo disco, come i precedenti, fa per Voi. Taylor non si sposta di un millimetro e macina note e si butta nel country più classico rivedendo alla sua maniera il classico di Billy Joe Shaver Ragged Old Truck: ritmo alla Johnny Cash, country e western sino al midollo, la canzone è un inno alla tradizione, ma Jackson ci mette del suo grazie al suono ed alla inter-pretazione vocale molto sentita. Barefeet on The Dash si apre in modo classico, le chitarre si incrociano, il piano tesse la sua melodia e la ballata si sviluppa in modo diretto, come Broken, intra acustico e melodia profonda, che stacca decisamente dalle canzoni precedenti. Poi la ballata prende suono e si trasforma in un lento dall'incedere potente.
Wicked Wicked Me ha ritmo e forza e richiama il tipico suono texano, con la variante del piano che si conferma il marchio di fabbrica del nostro. Faulkner By The Dasshboard Light è una canzone con già dieci anni sulle spalle (ma il nostro la ha incisa solo adesso), una storia come tante, una storia di tutti i giorni. Shame ridà vigore al disco con un intro potente, molto rollingstoniano, ed un incedere rock tonico e vibrante. Manna Jesus and the Devil nasconde, dietro ad un titolo ovvio (Jackson ama le sante trinità), una classica honky tonk ballad, tutta ritmo, chitarre e sudore. Chiude Titties and Beer, Tette e Birre, un anthem dei fans di JT.
Il suo pubblico è formato da rednecks, motociclisti, camionisti, ragazzotti di campagna: gente rozza ma con la musica nel sangue. Quindi non c'è da stupirsi se Titties and Beer risulta logica. Taylor ha fatto sua questa composizione di Rodney Carrington, comico e country singer, texano di Longview. La canzone muta pelle e diventa un torrido rock and country con il piano di Belaire che fa i numeri, mentre il ritmo si alza e le chitarre costruiscono un classico wall of sound. Degna conclusione per un disco a tinte forti che conferma Jackson Taylor forza trainante della musica texana. Quella vera.