AMERICAN AQUARIUM (Burn. Ficker. Die.)
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  Recensione del  04/11/2012
    

6 dischi, il numero ideale per la band del North Carolina, per il vocalist BJ Barham, per descrivere la vita 'on the road' a base di whiskey, donne e smokey bars, in quella classica concezione del viaggio che considera il momento di transito come mezzo di percezione (“It’s kind of evolving from just the girls, the bars, the small town stuff. This is the most grown up album I think we’ve ever done. We built a fan base off broken hearts and late nights but this is the first record where we start facing failure and divorce and addiction and things like that and just look them in in the face and write about them.”)
Ci sono voluti 2 anni per guidare gli American Aquarium verso una maggiore consapevolezza del mondo, 8 giorni con il songwriter/produttore Jason Isbell (ragazza compresa, Amanda Shires suona il violino) per vederselo passare davanti e indirizzare Burn. Ficker. Die. sotto una nuova prospettiva, coerentemente caratterizzata da una forma di temporalità ciclica delle chitarre che solcano e danno vivacità sin dall’avvio di Cape Fear River. I Sabato sera non sono più il massimo per gli American Aquarium di Savannah Almost Killed Me, i barrooms della Title-track sono meno sfarzosi e diventano ritrovi indesiderati, divampa una conflittuale relazione con la strada nelle introspettive Jacksonville e Northern Lights, chiudendosi in una splendida riflessione solitaria in Harmless Sparks, il whiskey e le donne sembrano sempre le stesse nelle brillanti Saturday Nights e Saint Mary’s (“Every girl in that bar looked like 1965 / her sailor tattoos and her drawn-out eyes”).
Agli American Aquarium piacere spezzare il ritmo, sospenderlo con la delicatezza del piano e della pedal steel che transitano felici nella convincente ballad di Lonely Ain't Easy, a creare una dimensione interiore, vacua e immateriale per un gruppo di musicisti che pensano sempre al rock (Abe Lincoln) ma dove serpeggiano dubbi, in Casualties, facile trovarsi ad un bivio senza ritorno. Ma l’emozione di Burn. Ficker. Die. risplende e si continua a misurare con il dolby, finalmente gli American Aquarium si lasciano andare e superano il freno che impone la logica commerciale.