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Capitolism in America has gotten way out of control!" affermava nel felice esordio di
River of Life, a distanza di 3 anni,
Aj Downing non raffredda l'incandescente energia elettro-acustica divisa con i
The Buick 6 in
Way Back Home, resta non lineare proprio come la Borsa, quel sistema non prevedibile, non mo-dellizzabile, privo di centro, composto da un grandissimo numero di variabili indipendenti e non tendente all’equilibrio che comanda il mondo.
Good Day, sottopone alla verifica di uno sguardo partecipe, ma severo, del songwriter texano, i meccanismi dell’articolazione di quello che resta del ‘sogno americano’, lo fa spingendo sulla chitarra, graffiando nel convincente avvio di
My Wagon Just Won't Roll,
Aj Downing è pronto a sbattersi fuori per le strade texane in un movimento scandito da grosse pennellate sarcastische, a tratti (e non di segno pieno), la realtà è peggiore, ma c’è il banjo, la pedal steel e i colori spogli della provincia ad alleggerire romanticamente la splendida
Good Day.
Lo stile è misurato, tutto sfumature e vibrazioni elettro-acustiche,
Good Day scorre piana ma incline a donare piacere,
Aj Downing non ha grandi verità da sbandierare ma gli basta sottolineare le piccole cose della vita per trovare gemme luminose come
Lonesome Town, tra le zone vuote, anonime di spazi dove accade poco o nulla, la dolcezza del piano entra in sintonia espressiva con le tematiche affrontate, a tessere e a reinventare l’affresco melodico roots texano, sorprendentemente e con pochi elementi melodici.
Questione anche di scarti sottili, di aggiustamenti di angolazione, di sfumature elettriche che si riappropriano di
Good Day, brillano in
What You Lookin For, dietro la spinta incessante della ruspante slide guitar di
American Junkie caricata a dovere da AJ Downing (a convincerci ironicamente su una ricerca di vita e a far poesia su un paesaggio abitato dai Diavoli), si nascondono dietro al banjo e l’armonica che solcano la scura bellezza di
Valentine, dietro la limpida e radiosa lap steel di
The Other Cheek,
AJ Downing riscrive i codici di un brillante songwriting e li rimette in scena filtrandoli attraverso una memoria iconica che si fa linguaggio, ancora una volta, coi brani di
Good Day.
Cresce il tasso country solo in
Willie (Had We Never Been High), pronta a svelare tribole e colpe che opprimono un anima ‘innocente’, lasciando il finale nelle mani preziose del banjo di
Peter Weiss, sbucano
Forty Below e lo splendido tocco tex-mex di
Aimless Sea, uno spaccato di vita di frontiera incrostata nelle rughe scavate dalla fisarmonica e nelle ruvide devozionali angolazioni della chitarra elettrica.
Un territorio caldo e sensuale dove il realismo poetico s'impadronisce della sala comandi di
Good Day, ma senza modificarne la rotta di viaggio.