Si ricompongono i pezzi della
Blindside Blues Band, torna a graffiare Jay Jesse Johnson alla chitarra, a sporcare quel solido blues anni ’60/’70, torna la
Blues Bureau Label capace soprattutto di individuare il punto in cui lo spazio e il tempo delle jam di
Mike Onesko hanno trovato la loro deflagrazione, tutti insieme a creare una strana aria fuori dal tempo, anacronistica e postmoderna, fuori moda come
Generator.
Un disco che inizia e finisce con la messa in abisso delle chitarre, la granitica
Gravy Train mostra immediatamente il nervoso disequilibrio della
Blindside Blues Band, le panoramiche repentine tra
Generator e
Power of the Blues senza una fatica apparente (basta rispolverare il live tedesco di qualche mese fa,
Live at The Crossroads, per farsene un’idea) si attorcigliano nella tradizione con
Bluesin',
Slow Down e
Lovin You prima di ricadere nel vortice sinistro di
Goin 'Crosstown, come una stella ingoiata da un buco nero, a rendere la prima parte dolorosamente instabile e per questo interessante.
Generator è di una intensità quasi 'miracolosa' per la
Blindiside Blues Band, senza sosta, è preda di quella ‘solita’ frenesia chitarristica, sembra non acquietarsi mai in modo definitivo, ma ecco che, a ripensarci, la splendida
Genevieve serve a sciogliere questo dubbio, a duplicare l’impatto delle scosse telluriche di Mike Onesko e Jay Jesse Johnson ci pensano le chitarre, le disperdono nei lunghi, infiniti, sotterranei 8 minuti, come due filoni che si alimentano con cicliche peristalsi, riuscendo a farci assaporare la strumentazione in filigrana della lap steel nella fermata in Mississippi di una perla acustica come
Gonna Leave This Town.
Idee melodiche che si inseguono pronte ad interrompersi nel finale di
Wandering Man e nei 9 minuti di
Bonus Jam, dove il fuoco delle chitarre invade
Generator animandolo con lunghe pennellate di luce, ramificate e comunque ipnotiche, magnetiche, un delirio nel quale la
Blindside Blues Band trova ancora una volta una ragione per esistere.