Quinto disco per il
reverendo J. Peyton e famiglia (la moglie Breezy ed il cugino Aaron “Cuz” Persinger), continua a battersi tra un fervente bluegrass e il fosco blues del delta, li difende dal dilagante e soffocante assoggettamento al ‘gregge’ del mainstream anche in
Between The Ditches: “
We approached it saying we were going to make a record this time, not just a recording. I’m very proud of this album, the songwriting and the playing”.
Lo schema è noto, gran lavoro tra la cigar box e la fedele Gibson del 1929, il cemento (esplosivo) delle passioni del reverendo che ironizza e infieriesce sulla limitatezza del mondo fin dall’accoppiata di
Devils Look Like Angels e la splendida
Something For Nothing, pronte a svelare l’assoluta superficialità del credo ‘borghese’.
I riffs della slide guitar sono più dolci ma si prolungano nei classici intervalli monotonici, e proprio nella reiterazione delle melodie
The Reverend Peyton’s Big Damn Band è capace di plasmare le varie sfumature di
Between The Ditches (ballate come
We'll Get Through vengono risucchiate dalla malinconia, dall’oscurità o dalla luce, a voi la scelta) mantenendo invariato il proprio stile surriscaldato e sanguigno (
Blue Chevy '72,
Shut The Screen,
Shake 'em Off Like Fleas,
Easy Come Easy Go).
Nei dischi del reverendo Peyton può sempre accadere che si spalanchi una finestra su un paesaggio sovraesposto dove regna una luminescenza pacata (deliziose
I Don't Know,
Brown County Bound e
Move Along Mister, come il mandolino di
Don't Grind It Down) ma non può abitare a lungo in
Between The Ditches, c’è sempre pronto un corpo nuovo a spingerlo fuori posizione, il denaro della secca
The Money Goes, a costruire una possanza compositiva pari alla sua velocità nella
Title-track e in
Brokedown Everywhere.
Un altro bel disco materico e allo stesso tempo così ‘fisico’, fluttuante e onirico nella genuinità di un songwriting che nello stratificarsi di
Between The Ditches non si disperde mai.