Gli
Immigrant Union atterrano a Portland e il sestetto australiano viene accolto da qualcosa di parzialmente estraneo: “
The vibe of the city was one of the biggest reasons for flying over there,” dice il vocalist Brent DeBoer. “
One of the biggest influences was this bar that was just a block away from the studio that had this amazing free jukebox. It was full of ‘70s country music. At the time I was hearing a lot of these new country bands that were making these recordings that were too antiquely. We wanted to do something with texture, like those old Eagles albums. We wanted something that would sound great on vinyl”.
Il risultato è un insieme di incroci di grande ricchezza che illuminano l’esordio degli
Immigrant Union, aiutano ad aprire orizzonti (ben 14 in 14 giorni), la partitura iniziale e finale di
Saturday / Loraine è decorosa, vagamente nostalgica, tutt’altro che esaltante finquando l’armonica non si affianca al piano e lo stile di
Immigrant Union inizia ad impregnarsi dell’essenza dell’Alt. Country. Linee tematiche semplici, violino, lap/pedal steel e armonica, una trasparenza quasi liquida del suono in
Again, My Heart's A Joke, Oregon e Dignity, una malinconia soffusa che si alterna a momenti bandistici che ricordano
Jason Ringenberg e gli
Scorchers nelle splendide
Winter e
Back In The Fall, luogo nel quale
Immigrant Union opera il passaggio dall’ordinario all’atipico splendore dell Alt. Country.
Immigrant Union ha una linearità apparente, qualche movimento randagio tra bluegrass, honky tonk ma cambia poco, nelle cover -
The Ballad Of Jim Jones e la sublime
Up In Smoke - a
The Rope,
Wrong,
I'll Remember Yesterday,
The Story Of My Life, un unico nodo che anche quando viene sciolto a un capo si riannoda all’altro. Come un vecchio vinile anni ’70, con tutti i suoi meriti e i difetti (pochi).