La parentesi annacquata di
3 non ha smorzato la vena rock del power trio di Cincinnati,
Dig. Sow. Low. Grow. torna a dialogare con la psicadelia anni ’60/’70, i fratelli Gobbard (Andy alla chitarra, Zachary al basso e voce) insieme dal 1996, dai tempi dei
Thee Shams, hanno una storia breve e non banale, l’esordio omonimo del 2006 e
Let It Ride del 2008 non hanno mai dato l’impressione di essere legati ad un nostalgico automatismo della memoria del rock, la parabola dei
Buffalo Killers č semplice, la ricerca melodica non č certo innovativa ma pervade con efficace i cambi di ritmo tra
Get It ed
Hey Girl, si apprezza la libera scanzione delle chitarre, l’impronta classica del rock nella scanzonata freschezza di
Blood On Your Hands, il lavoro sulle voci č curato quanto le chitarre in
Rolling Wheel,
Farewell e
Those Days, e lo scontornamento anni ’70 si sussegue, pezzo dopo pezzo, sparpagliando frammenti in
Dig. Sow. Low. Grow.
Non c’č niente di gratuito quando si ingoiano dei bei pilloloni appuntiti come
I Am Always Here e
Graffiti Eggplant, la memoria del rock č al lavoro, viene plasmata, smussata, erosa dai
Buffalo Killers fino agli svolazzi della brillante
My Sun e
Moon Daisy a cui
Dig. Sow. Low. Grow. vi si aggrappa con fiducia, nella speranza che l’amore per il rock torni, ogni volta, con qualcosa di nuovo a rinnovare alcune senzazioni nel frattempo perdute o dimenticate.