DIRTY GUV'NAHS (Somewhere Beneath These Southern Skies)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  12/09/2012
    

È giunto al capolinea il sestetto dei The Dirty Guv’nahs? Somewhere Beneath These Southern Skies perde i pezzi, perde la primigenia/creatività degli esordi per precipitare, inesorabilmente (e irreversibilmente?) nelle grinfie del business? Per il vocalist James Trimble l’accordo con una label mondiale (Dualtone Records) non ha influito sulle scelte melodiche del nuovo disco: “It's definitely a partnership, The group in three days has raised more than $16,000 over that before the fundraising period was over. The rest went into album promotion and other expenses. This album is completely paid for by the fans".
Can You Feel It e Don't Give Up On Me mescolano con destrezza rock, pop e ritornelli accattivanti, privilegiano la messa a fuoco della melodia radiofonica piuttosto che la costruzione del rock anni ’70, quello che non conosce preavvisi, eppure quando sembrano vicino al punto zero, i The Dirty Guv’nahs mostrano ancora di essere presenti, resistono nella calda sezione fiati di Good Luck Charm, non demordono nella malinconia di Temptation e Live Forever, fanno nuovamente sentire il potere del rock in Honey You e This Is My Heart ed è quello che ancora vogliamo ascoltare dalla voce di Trimble (“We feel like you make music that comes from the place that you’re born and raised, and that’s been true to us all our lives. We’ve always loved the Black Crowes. The bands we really have drawn the most inspiration from are the Rolling Stones, the Band.”)
Il giro di boa di Somewhere Beneath These Southern Skies impone qualche casella vuota nei variopinti refrain di Michael Jenkins e Cozmo Holloway alle chitarre, il corpo dei The Dirty Guv’nahs c’è ma è più freddo da 3000 Miles e verso il finale, brillano le rock ballads di Fairlane e One Dance Left (Lead Kindly Light, Dear Alice, Child e Goodnight Chicago si offrono ai desideri del pubblico con grande mestiere, e centrano il bersaglio). Un disco leggero Somewhere Beneath These Southern Skies, lo salviamo seppur solo a tratti convincente, ha sempre il ‘difetto’ di battere sul terreno dissodato del ‘vero rock’ anche se con esiti stavolta meno lusinghieri.