È giunto al capolinea il sestetto dei
The Dirty Guv’nahs?
Somewhere Beneath These Southern Skies perde i pezzi, perde la primigenia/creatività degli esordi per precipitare, inesorabilmente (e irreversibilmente?) nelle grinfie del business? Per il vocalist James Trimble l’accordo con una label mondiale (Dualtone Records) non ha influito sulle scelte melodiche del nuovo disco: “
It's definitely a partnership, The group in three days has raised more than $16,000 over that before the fundraising period was over. The rest went into album promotion and other expenses. This album is completely paid for by the fans".
Can You Feel It e
Don't Give Up On Me mescolano con destrezza rock, pop e ritornelli accattivanti, privilegiano la messa a fuoco della melodia radiofonica piuttosto che la costruzione del rock anni ’70, quello che non conosce preavvisi, eppure quando sembrano vicino al punto zero, i
The Dirty Guv’nahs mostrano ancora di essere presenti, resistono nella calda sezione fiati di
Good Luck Charm, non demordono nella malinconia di
Temptation e
Live Forever, fanno nuovamente sentire il potere del rock in
Honey You e
This Is My Heart ed è quello che ancora vogliamo ascoltare dalla voce di Trimble (“
We feel like you make music that comes from the place that you’re born and raised, and that’s been true to us all our lives. We’ve always loved the Black Crowes. The bands we really have drawn the most inspiration from are the Rolling Stones, the Band.”)
Il giro di boa di
Somewhere Beneath These Southern Skies impone qualche casella vuota nei variopinti refrain di Michael Jenkins e Cozmo Holloway alle chitarre, il corpo dei
The Dirty Guv’nahs c’è ma è più freddo da
3000 Miles e verso il finale, brillano le rock ballads di
Fairlane e
One Dance Left (
Lead Kindly Light,
Dear Alice,
Child e
Goodnight Chicago si offrono ai desideri del pubblico con grande mestiere, e centrano il bersaglio). Un disco leggero
Somewhere Beneath These Southern Skies, lo salviamo seppur solo a tratti convincente, ha sempre il ‘difetto’ di battere sul terreno dissodato del ‘vero rock’ anche se con esiti stavolta meno lusinghieri.