L’ho incrociato in chiesa, prima dello spettacolo di
Todd Snider, in una parentesi dello scorso
South by Southwest Music Festival. Anche quando gli ho chiesto cosa era accaduto dopo l’ottimo esordio di
Sunday Shoes del 2001, con
Off-Track Betting pubblicato nel 2008,
Nels Andrews ha usato delle parentesi: il lavoro come parentesi dalla famiglia, la famiglia come parentesi dal lavoro, il viaggio come parentesi dal quotidiano, e infine il quotidiano stesso, tutto, coi suoi mille e mille riti di soste forzate ma puntualmente volute, di frenate obbligatorie ma desiderate da sempre, e di scatti fulminei che spalancano uno spazio-tempo imprevisto ma lucidamente fiutato, quello battuto come un poema del 1800 nell’ultimo
Scrimshaw.
Un viaggio nella lunga tradizione del folk introspettivo, denso di espressività e significato, il succedersi di ballads calate nel cromatismo sfocato del mare dove soffoca lo spazio della solitudine e della paura, spazi stagnanti per raccontare piccole sfavillanti storie, crude e spigolose,
Tridents,
Starboard,
Barroom bards e ne subisci il fascino, una sorta di vaccino contro gli orrori della vita reale. Ancora mandolino, banjo, pedal steel in
Three Hermits e
Lost year (off track betting), servono a
Nels Andrews per scrutare i malesseri della civiltà, dei rapporti interpersonali, colmabili e veicolate con le languide
Small victories e
Flotsam, anche se su tutte brillano
Houdini e
Wisteria (cantata con Nuala Kennedy). In quel poema allora, ci deve essere scritto «
Ascolta questa musica. Fa parte dei motivi per cui non sei ancora morto.»
Scrimshaw è uno di quei dischi che pare necessario amare, di quell’amore geloso che si riserva ai cantastorie ingiustamente sottovalutati.