Il songwriter di New Orleans
Chris Smither, da quando si è mischiato alla scena folk di Boston ha mutato pelle e raffreddato la materia del blues, un distacco che permette a
Hundred Dollar Valentine (12°esimo disco) di andare controvento solo per confermare attraverso toni acustici, ballate tra blues e ‘dark americana’, le storie abituali che caratterizzano lo spessore cercato “
Writing songs is like having a conversation with a part of your brain that you’re not on speaking terms with”, spiega Smither. “
It’s a part of your brain that is very shy, but it needs to be fed. Watching TV doesn’t do it. Films don’t either. I just find if I don’t read I quit thinking and then I couldn’t write songs.”
In
Hundred Dollar Valentine -la title track- e
What It Might Have Been, l’armonica resta dietro al talento compresso di Smither che per la prima volta scrive l’intero album (“
Actually, there are two covers on the record; but it’s me covering myself”) ma sono le forme del folk a dirci ciò che sta al fondo di
Hundred Dollar Valentine,
On The Edge e
I Feel The Same non sono mai troppo malinconiche e sentimentali per essere vincenti, con momenti di acuta tensione nella splendida
Feeling By Degrees, guardandosi bene dall’appesantirle in
What They Say,
All We Need To Know e
Make Room For Me con qualsivoglia sovrapposizione elettrica.
La penna di
Hundred Dollar Valentine cadenza la timbrica di un folk nostalgico anche nel finale con
Every Mother's Son e
Rosalie, in un disco con alcuni capitoli memorabili, mai passaggi sottotono, e si accetta volentieri il fatto che la musica, qualche volta, ci sfugga. Non per questo
Hundred Dollar Valentine esiste con minore intensità.