Small Town Outlaw si apre a ventaglio sulla piccola cittadina di Van Alstyne, Tx, e sulla concreta ricerca del songwriter
Robby White delle radici della country music: “
In the last eight or 10 years, has abandoned all its tradition,” dice White. “
Everything is really over-produced and seems to be uninspired. It's become homogenized and sanitized for your protection. I think my problem with the Nashville music scene is that it's lost all of its rebellion. I like a little rebellion in my art and that is what country music used to be known for. Willie [Nelson] and Waylon [Jennings] were singing about whiskey and pain, and now people are singing about how much they love their trucks and how sexy they think their tractor is.”
Robby White and the Tejas Gringos assegnano a
Small Town Outlaw l’effetto a rincorsa tipico delle scorribande alcoliche di
Jackson Taylor, batte meno il cuore da fuorilegge, ma assegna alla slide di Mark LaFon la giusta durata, così ampia, che sembra aderire integralmente alla temporalità dell’outlaw country. Ripesca
Kings of Jaurez di
Mike Ethan Messick, il passo ruspante insieme ai Gringos non cancella il precedente
Backroad Therapy, riprodotto a livello melodico nel nascere e morire dei protagonisti di
Packin' Heat, della malinconica e magica
They Don't Play Hank e i violini e la slide della squillante
Tiger By the Tail.
Ma nella poetica del genere c’è anche l’atmosfera intima e purgatoriale al tempo stesso di
Her, nascosto nella pedal steel di
Big Black Lies e in
Hard On Me, a rendere palpabile la doppia dimensione tra cover e brani originali di
Small Town Outlaw. Brillano in chiusura la cavalcata di
Twentytwelve Blues, in pianure dorate dall’erba del roots-rock, sempre infinite all’orizzonte Texano o limitate da una linea nostalgica in
Harder Cards e
A Texans Prayer, ma sempre sotto lo stesso cielo, quello striato del country dei fuorilegge.