KEVIN GORDON (Gloryland)
Discografia border=Pelle

        

  Recensione del  01/06/2012
    

Gloryland, la title-track, è quasi a dire che la luce è ambigua come l’ombra per il cantautore della Louisiana che con la fedele Gibson, torna dopo 7 lunghi anni: “This time around I concentrated on narrative more, whereas on the last studio album, (O Come Look at the Burning 2005), it was more about vibe and capturing the essence of something. For Gloryland, I wanted the stories to be literal. And if I can write a song that tells a literal, linear story and I can still feel myself getting emotional over what I’m writing about, then I know I’m getting somewhere”.
Il bene e il male sono duplici, ugualmente innocui e ugualmente pericolosi mentre viaggia nel Sud degli Stati Uniti, a parlare del mistero della fede e di religione (“I tend to write about preachers and religion because they scared me so much as a kid”) di un’umanità pericolosa attraverso poetiche visioni (un master in poesia all’Università dell’Iowa fa da garante) nel 5° album di Kevin Gordon.
Il roots e il rock degli esordi non cessano di pesare, Don't Stop Me This Time e gli splendidi 10 minuti di Colfax/Step in Time, accrescono per somme di dettagli la portata autoriale e il tono muscolare di Gloryland tra la vena spirituale di Pecolia’s Star (un’ode alla folksinger africana Pecolia Warner) e le immagini apocalittiche proprio della Title-track, “Life never sums itself up in three-and-a-half minutes, and a good song doesn’t need to do that either. But it should tell a story”, ribadisce Gordon.
Un album variegato, ballate riflessive, Nine Bells e Don't Take It All, agli scatti nervosi di Tearing It Down, sapori caldi del Sud in Bus to Shreveport ai misteri di Trying to Get to Memphis, fino al muso duro della turbolenta narrativa di Black Dog passando per la squillante Side of the Road, in quello che sembra un riflusso di infanzia si finisce tra le regioni martoriate intorno a Baghdad. La luce e l’ombra, la violenza e la nostalgia sono compenetrati, rappresentano le due facce di Gloryland, c’è spazio per l’amore solo alla fine, nella focosa One I Love, in quella che sembra una specie di unica, indistinta, voce fuori campo.