Gloryland, la title-track, è quasi a dire che la luce è ambigua come l’ombra per il cantautore della Louisiana che con la fedele Gibson, torna dopo 7 lunghi anni: “
This time around I concentrated on narrative more, whereas on the last studio album, (O Come Look at the Burning 2005), it was more about vibe and capturing the essence of something. For Gloryland, I wanted the stories to be literal. And if I can write a song that tells a literal, linear story and I can still feel myself getting emotional over what I’m writing about, then I know I’m getting somewhere”.
Il bene e il male sono duplici, ugualmente innocui e ugualmente pericolosi mentre viaggia nel Sud degli Stati Uniti, a parlare del mistero della fede e di religione (“
I tend to write about preachers and religion because they scared me so much as a kid”) di un’umanità pericolosa attraverso poetiche visioni (un master in poesia all’Università dell’Iowa fa da garante) nel 5° album di
Kevin Gordon.
Il roots e il rock degli esordi non cessano di pesare,
Don't Stop Me This Time e gli splendidi 10 minuti di
Colfax/Step in Time, accrescono per somme di dettagli la portata autoriale e il tono muscolare di
Gloryland tra la vena spirituale di
Pecolia’s Star (un’ode alla folksinger africana
Pecolia Warner) e le immagini apocalittiche proprio della
Title-track, “
Life never sums itself up in three-and-a-half minutes, and a good song doesn’t need to do that either. But it should tell a story”, ribadisce Gordon.
Un album variegato, ballate riflessive,
Nine Bells e
Don't Take It All, agli scatti nervosi di
Tearing It Down, sapori caldi del Sud in
Bus to Shreveport ai misteri di
Trying to Get to Memphis, fino al muso duro della turbolenta narrativa di
Black Dog passando per la squillante
Side of the Road, in quello che sembra un riflusso di infanzia si finisce tra le regioni martoriate intorno a Baghdad. La luce e l’ombra, la violenza e la nostalgia sono compenetrati, rappresentano le due facce di
Gloryland, c’è spazio per l’amore solo alla fine, nella focosa
One I Love, in quella che sembra una specie di unica, indistinta, voce fuori campo.