RAY WYLIE HUBBARD (The Grifter’s Hymnal)
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  Recensione del  01/05/2012


    

Sermoni, canzoni religiose e Ray Wylie Hubbard. Ti assalgono particolari in simultanea a leggere il titolo, Grifter’s Hymnal, si configurano come una zona privilegiata del testo, come luogo in cui si annida e si concentra il senso della fede religiosa, ma in cui è possibile rinvenire soprattutto la ‘chiave’ di una beffarda ironia che s’incrina sovente lungo il crinale di una chitarra sorda a dissimulare il rock e il delta blues. Altre curve pericolose per Ray Wylie Hubbard, portano The Grifter’s Hymnal sempre dalla parte di A.Enlightenment…, spostato, lontano da quel luogo, la chiesa, dove queste 12 prediche e anatemi difficilmente troverebbero spazio: non c’è la poesia ad accarezzare questa serie di dirty blues che stringono intorno a diavoli e morte, affrontano donne perdute e rock n’ roll, avvolgono il bene e il male, irrimediabilmente posti di lato, difficile capire da che parte stare.
Sferzanti groove, ma anche la penna è tagliente come la Coricidin Bottle del chitarrista della The Allman Brothers band che usava la bottiglia vuota di quel decongestionante per suonare la slide guitar. Hubbard ne osserva il ‘corpo’, un mondo che, dalle profondità dello spazio tempo, ci rimanda suggestivi fasci di luce chitarristici, come la stella remota di una galassia che quando cade sull’armonica è in grado di rivitalizzare, stravolgere e rendere il rock di South Of The River, per un lungo attimo, diverso.
La lap steel di Lazarus affianca riflessi e barbagli di luce celestiale che aiutano a creare una sottile perdita di certezza tra Diavoli e Dio, ma permettono di aprire e costruire una visione sempre dischiusa di un folk-rock sprezzante nell’impietoso ritratto della scura e ruvida New Year's Eve At The Gates Of Hell (“Jimmy Perkins was a son of a bitch who stole from other musicians and belongs in the same circle of hell as the ‘whores from Fox News’”). Strumentazione semplice, arrangiamenti accattivanti, ricorrendo all’esecuzione di una melodia corale solo in Henhouse, puro ritmo, respiro vivo dall’armonica e dal piano, il resto è fatto di battiti della slide guitar e delle percussioni, fruscii e stridori metallici tra Moss And Flowers e il limaccioso splendore di Red Badge of Courage, altra preghiera pervasa da demoni, politica e contro la guerra vista attraverso gli occhi di un giovane soldato (‘We was just kids doing the dirty work for the failures of old men’).
Il sole del Mississippi resta impalato nel cielo di The Grifter’s Hymnal, non si abbassa a cadenzare il sopraggiungere del buio, il sipario è blues, cala nell’acquitrinio di Train Yard, nella torbida dolcezza elettro-acustica di Coochy Coochy e Count My Blessings, nella storia autobiografica di Mother Blues, quel racconto di famiglia a Dallas, dove alla gente piace ascoltare Lightnin' Hopkins, di quando a 21 anni pensava solo alle ‘stripper girls’ e alla Les Paul, la chitarra comprata vendendo la macchina del padre (‘One of the many mistakes I made over the next twenty years’).
Nell’incantamento della conclusiva Ask God, 3 strofe ripetute come una nota fissa e prolungata ("When darkness swoops down on you, ask God for some light / When some devil knocks you down, ask God to pick you up / When death comes a knocking, ask God to open a door") si scivola dentro senza accorgersene, la voce di Ray Wylie Hubbard s’insinua tra le maglie del brano, distillandone succhi ‘divini’ che lasciano assaporare The Grifter’s Hymnal fino all’ultima nota.