Il discorso del premio Nobel
William Faulkner (‘
Banquet Speech’) tenutosi a Stoccolma, nel Dicembre del 1950, quel passaggio scuro e minaccioso come il vento del Sud della California di
Santa Ana Winds che spira nella valle della morte, è per i tre fratelli Wilson il modo di allontanarsi dal movimento orizzontale tipico della progressione dell’alt. country, per ospitare un’anima dell’America melodica in
Sirens.
Gettano ancora le assi nella polvere della roots music, ma come anticipano
Find My Way Back Home e
Siren Song non ci sono canzoni che parlano d’amore e il whiskey scarseggia, propongono un bersaglio pop/rock & americana e cercano di raggiungerlo in modo diretto in
This Losing Fight. Ma il percorso di
Sirens diviene un viaggio visionario, ricordi trasfigurati della strada che richiamano il
Jay Farrar nel periodo degli
Uncle Tupelo dove cancellano le coordinate di spazio e tempo.
L’armonica e il piano tra
Angry Eyes e
Last Call At The Eschaton, la steel e gli archi di
Radio Can't Rewind (all’altra intensa ballad di
The Tree), un ‘eden’ di aria pura e acque limpide alla confluenza tra California e Texas, basta solo riconoscerla come nel richiamo di
Virginia Calling. Seppur il cinismo è mascherato e ribaltato dalle chitarre in
Turn it Up e
Life In Shambles (ospite Johnny Hickman) i differenti piani melodici si rivelano come cerchi nell’acqua, si stringono intorno ai
Sons of Bill fino a materializzarsi in
Sirens.