ERIC BIBB (Deeper in the Well)
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  Recensione del  01/05/2012
    

In una carriera costruita per sovrabbondanza –in 40 anni, 35 album-, arriva l’esordio per la canadese Stony Plain, etichetta roots music e Deeper in the Well si sovraccarica di banjo, violini, mandolino, tamburi, sapori cajun e con una squadra di illustri musicisti dalla Lousiana, è pronto a sedurre l’ascoltatore e ad inchiodarlo in un gioco elettro-acustico fatto di continui rimandi tra folk, americana ed armonica blues.
Il paesaggio scelto da Eric Bibb è rurale, nella dolcezza di Bayou Belle inizia a spostarsi tra presente e passato delineando un profondo spaccato sociale, occupa lo spazio con un nutrita serie di cover (spicca Bob Dylan, ‘The Times They Are A Changin’) e con altre rivisitazioni di classici come la deliziosa Dig a Little in the Well ascoltata da un vecchio vinile del ‘bluegrass singer’ Doc Watson. Tempi difficili attraversati con spirito ottimista e di speranza, non li vive Eric Bibb, li attraversa portando con sé il chitarrista Cedric Watson –gran lavoro alla steel in In My Time- l’armonica di Grant Dermody protagonista della splendida No Further, il violinista Cedric Watson dalla scena di Lafayette ad illuminare Sinner Man e Music.
La sottile linea folk che lo ricollega al padre Leon -esponente della scena folk newyorchese anni ’60-, smuove le melmose Boll Weevil, Every Wind in the River e Could Be You, Could Be Me. La composizione di Deeper in The Well resta impostata sulle due diagonali blues e tempi difficili (briose Money in Your Pocket e Movin Up) ma trova il modo di congiungersi agli angoli della carriera di Eric Bibb, per esprimere in Sittin' in a Hotel Room e The Times They Are a Changin' anche le proprie emozioni: “Music is more than a style or a fashion, It's bout the swing, the soul and the passion. If I feel it - that's good enough for me”.