LINCOLN DURHAM (The Shovel vs The Howling Bones)
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  Recensione del  26/02/2012


    

L’esordio di Lincoln Durham è del 2010, 4 brani, un Ep intenso come un campo di battaglia: bersagli di amore e odio, territori del Delta Mississippi tensivo di ombre e luci, vita e morte come nell’immaginario della splendida Reckoning Lament che ritorna dopo 2 anni nello stesso intenso riquadro prospettico di punti di vista e linee di fuga di un uomo amante dell’old blues legato a Robert Jonhson quanto a Muddy Waters, quell’anima nera nella chitarra datata 1929 (occasionalmente nell’armonica), febbricitante come un giovane Steve Seasick.
Un talento grezzo che arriva tra le mani del songwriter e produttore Ray Wylie Hubbard deciso a ‘strappare’ da quel breve flusso vitale di dirty-blues una serie precisa di frammenti, una sorte di cono di luce per mettere a fuoco (ed informarlo) -nel vero esordio- della storia dell’American Roots Music, introdurlo al country e il folk nel buio che circonda il blues del delta. Se aggiungiamo il contributo del romanziere/poeta Michael Clark Lorenzo chiamato per stilare la biografia del giovane Lincoln Durham, ecco che i presupposti di un grande disco d’esordio si allienano tutti ai nastri di partenza e amplificano un orizzonte d’attesa che poco per volta, brano dopo brano, punteggia The Shovel vs The Howling Bones: “It is my agony put into words and music via 11 songs,” spiega Lincoln. “It is the story of building dreams and tearing down those dreams all in the same moment. I am both the shovel and the howling bones. Burying while at the same time howling and contesting my own burial. It is my existence.”
Si cade dal Cielo nell’Inferno, si viene subito risucchiati nella leggerezza di acque elettro/acustiche, Drifting Wood e Last Red Dawn, allo stesso tempo limacciose e leggere, innocenti e paludose, pescanti e stagnanti dove fagocitano pensieri, steel guitars e racconti dai toni scuri. La luce non filtra mai dall’esterno nemmeno quando infila il Texas in Mud Puddles, continua a macchiare i versi di How Does a Crow Fly (“I met a girl white as snow, I turned her a shade of grey”) e di un paio di perle -Living This Hard e Love Letters- dove accentua il tono ossessivo della slide guitar, funereo quanto irregolare. Riffs scuri che non impregnano sempre le esistenze di Shovel vs The Howling Bones, nel finale baluginano attrazioni acustiche sgargianti seppur tenebrose in Georgia Lee e People of the Land, un teatro d’ombre nato nel Mississippi, ma con la splendida ballad di Clementine e la conclusiva Trucker's Love Song, i tratti melodici di Lincoln Durham provano a sfuggire al contorno di The Shovel vs The Howling Bones, si mettono a lavorare per conto loro, con la libertà di un poeta errante che tende verso un limite e varca una nuova soglia.