Lasciarsi alle spalle
Shooter Jennings, il periodo d’oro con i
357's, le atmosfere familiari del country solcate da solista fino ad
Angels & Curves potevano essere un azzardo per il chitarrista
Leroy Powell, pagate per intero nell’ambizione di rispolverare uno sfibrato, psicadelico rock nel grezzo e balbettante
Paranoid, ma era già chiara un’idea precisa dell’heavy rock anni ‘70 che stava covando insieme ai
The Messengers (il power trio composto da Dean Tomasek al basso e Christopher Williams alla batteria).
Le prime disarticolate e lancinanti emozioni arrivano con
Atlantis del 2009 ma recuperare per intero un suono per nulla invecchiato -ma ormai fuori dal tempo, vicinissimo e lontanissimo, ci son voluti altri due anni con
The Snowblind Moonshine Deathride. Un disco datato, volutamente nella forma delle chitarre, nei blocchi melodici, barcollanti, trasportati a bordo di roboanti moto che aprono
The Snowblind Moonshine Deathride e insieme al talento di
Leroy Powell si inseguono, si susseguono fra virtuosismi e impennate nella frenesia isterica di
Lovin' Machine, in ostaggio nelle corde della chitarra nel falsetto magico di
High On The Hog prima di precipitarsi in un allucinatorio assolo che squarcia anche i 7 minuti di
Blood In The Sky, una messinscena ferina avvolta –giustamente- da un pubblico festante nella sfavillante
Turn It Up. Fasti anni settanta, pochi sentieri interrotti a sentire
One More Time Over The Line e
Let Me Love You, cadute non ce ne sono in una continua esplosione di riffs, come una macchia che si allarga fino a riempire tutto
The Snowblind Moonshine Deathride.
La deflagrazione di
Big Black Dog e
You Got Jacked, la quintessenza del ‘classic rock’ sparsa nel finale contro una società dove covano insospettate malignità, ostinatamente celate dall’ipocrisia e dal falso perbenismo sparse tra
We Ain't Going Down e
Who Turns You On,
Judgement Day,
Atlantis, alla steel splendida di
Resurrection che cambia ritmo, come se gli andasse d’improvviso a fuoco la chitarra. Con il rock succede anche questo, alla maniera di
Leroy Powell and The Messengers in modo particolare. Non lo ‘corteggia’ ne lo lusinga, ma lo sbatte con forza contro il muro.