Si torna in campagna, la strada spoglia di
6 Volts -19°esimo disco- non è solo metafora esistenziale e culturale, kerouackiana e di confine, ma il modo per
Fred Eaglesmith di riappropriarsi del suono e legarsi alla storia, quel primo transistor introdotto nel 1954 (lo stesso anno del rock ‘n ‘ roll), da dove prende vita questa registrazione live, un’unica traccia su nastro che raggiunge insieme una leggerezza e un’intensità che sorprendono favorevolmente in un songwriter che nel recente passato ha spesso usato la mano pesante sulle sperimentazioni (
Tinderbox del 2008 e il deludente
Cha Cha Cha del 2010).
Fred Eaglesmith continua a starsene ai margini, indipendente e nessuna casa discografica alle spalle, strade turtuose verso piccole arene ma sempre affollate, ha sempre fatto quello che voleva ma è la strada giusta (fa piacere allora osservare come i texani
Ryan Bingham ed
Hayes Carll abbiano deciso di mollare la
Lost Highway per andarsela a cercare). Sulla splendida
Cemetary Road ritrova le ‘sue’ classiche storie (assassini, amori perduti, mogli e donne piuttosto allegre e nervose, ‘truckers & singers’, pillole, pistole e country music) lunghe fughe verso la luce, la voce densa di whiskey esita tra la dolcezza dei mandolini (la new entry, Mike Zinger) e della lap steel tra l’errare vibrante della slide guitar.
Lo sguardo di
6 Volts si sofferma a renderci palpabili la polvere, il caldo, la fatica della periferia mentre riflette sulla carriera ‘on the road’ in
Betty Oshawa e nella fulgida bellezza di
Stars, i ricordi di
Willie P. Bennett si mischiano ad una schietta disamina su come sia facile pensare ai bei tempi che non muoiono mai -specialmente se la tua vita è la musica, in una band.
Pensieri che non sempre ruotano intorno alla vita dell’Eaglesmith songwriter, le luccicanti
Cigarette Machine,
Trucker Speed e
6 Volts scoprono carte diverse, descrivono situazioni, oggetti, luoghi particolari che la vita reale mette a disposizione, da analizzare con calma su un tavolinetto nel portico o seduti disordinatamente per terra, ma
6 Volts va oltre aprendo percorsi roots –non certo inediti- ma su di una terra di cui abbiamo creduto di sapere tutto e che ci appare quasi aliena ad ascoltare l’incantevole e sinistra ballad di
Katie,
Been a Long Time, alla steel ammaliante di
Dangerous o nelle sferzate elettriche e poi nelle parole al vetriolo in
Johnny Cash: “
Johnny’s shows weren’t selling, where were you in ’89 when it looked like Johnny’s career was in decline … back when you were listening to heavy metal. They don’t love Johnny Cash; they love the idea of Johnny Cash,” dice Eaglesmith.
11 tracce che trascolorano intorno ad un intenso songwriting fatto di chiarori lividi, tracce oscure inchiostrate e mortuarie, con alternanze stordenti fra accorate perorazioni melodiche e brucianti virate elettriche.
Fred Eaglesmith le riporta dritte nel cuore dell'american roots e della periferia americana, come un umore malsano che tutti cercano di rimuovere e nessuno riesce ad individuare.