Il rock anni ’70 veicola i sentimenti di questi ragazzi di Memphis,
Movements è ancor più fuori fuoco e fuori tempo dell’esordio di
Portrait of A Man del 2009,
Movements è il loro ‘urlo’, non solo del vocalist Justin Toland, non duplicano il tempo passato ma lo sospendono, lo frantumano e lo gelano i
The Dirty Streets.
Movements è la strada più breve per raggiungere due punti temporali, non è proprio una linea retta come nell’iniziale
Title-track, ma è obliqua, piena di scarti e deviazioni come anticipa la splendida
Cloud of Strange, ed è la più adatta per riassaporare un’energia quasi dimenticata.
Un rutilante catalogo di chitarre a briglia sciolta, da
Broke As A Man Can Be a
Felt, per comporre un affresco del rock in cui più istantanee melodiche si susseguono, si intersecano, si alternano e vengono fatte confluire con naturalezza nei 40 minuti di
Movements. La voce di Toland mette in moto un ingranaggio serrato e inesorabile, sfavillante in
Fight You e
It's About Time, i
The Dirty Streets innescano bombe a orologeria in
What Do You Know e non cercano di disattivarle anche quando il rock è più corale in
Tryin' Too Hard, col passo cadenzato di una radiosa
You Could Have Fooled Me, alla conclusiva acustica e strumentale
Native Sun.
Ti accorgi allora che
Movements non è altro che un sistema di vecchie persiane che hanno il pregio di aprire e chiudere nello stesso tempo, di fare filtro, di obbligarci a 'occhieggiare' verso l’esterno alla ricerca del rock. Poi si capisce che proprio in quella scollatura temporale si cela la densità di
Movements.