Di solito resto alla larga dai tributi celebrativi dove la musica è solo un contorno, dove tutto è raggelato e un po’ leccato, un ibrido di note che lascia un senso di incompiutezza che rappresenta il limite maggiore e più evidente di questo genere di dischi, ma per il 70esimo compleanno di
Guy Clark le cose sono andate in maniera diversa.
Prima cosa che salta all’occhio è l’impressionante schiera di amici e colleghi che hanno aderito all’invito di
Tamara Saviano -ha lavorato a lungo con Guy Clark e sta ultimandone la biografia- e del songwriter/musicista
Shawn Camp, la seconda cosa nelle 30 canzoni scelte a ripercorrere la carriera di un ‘griot’ dell’America profonda, che canta la piccola epica quotidiana con lo humor e l’ironia che viene anche dall’età e da una profonda comprensione delle cose della vita. Registrato con una band coi fiocchi, oltre a Camp da segnalare la professionalità di
Lloyd Maines e del chitarrista
Verlon Thompson, nonché il lodevole atto benefico per i proventi del disco destinati al
Texas Music History,
This One’s For Him: A Tribute to Guy Clark è capace di toccare corde insolite a seconda del percorso che sceglierete di seguire perché come dice
Lyle Lovett: “
Guy’s songs are literature. The first time I heard Guy Clark, I thought it made everything I’d heard up to that point something other than a song. His ability to translate the emotional into the written word is extraordinary”.
Bastano poche tappe per innamorarsene, la
Homeless di Shawn Camp, una ballata che è una sorta di lente d’ingrandimento che porta l’ascoltatore a riflettere più a fondo, arrivando forse a intravedere i contorni e le sfaccettature dell’anima di
Guy Clark, quel ‘restless wanderer’ cantato nella
Magdalene di Kevin Welch, e seguendo il tocco acustico si passa da Ray Willy Hubbard in
Homegrown Tomatoes al Van Zandt II che non poteva che scegliere
Let Him Roll ("
My dad and Guy were best friends. My dad was quick burning. Guy was stable and dependable. He was a lot of things my father wasn't").
The Guitar a Ramblin' Jack Elliott,
Randall Knife a Vince Gill e
Cold Dog Soup a James McMurty per passeggiare sul testo di un grande songwriter e rispettarne la struttura,
Dublin Blues a Joe Ely,
Hemingway's Whiskey a Kris Kristofferson e
The Last Gunfighter Ballad a Steve Earle per restare incollati a un canovaccio di una gran firma senza restarne fedeli, prima delle meravigliose noti fluttuanti e senza contorni della
Old Friends cantata da Terry Allen. Una massa di emozioni che piano piano si dirada e da cui lentamente affiora la realtà tutta terrena di un poeta e songwriter,
Guy Clark.
Il resto del giro spetta a Voi.