Nato in Indiana, cresciuto nel rurale Michigan da una famiglia di musicisti (il padre Carter è un pianista blues, lo zio Richardson ha suonato con Aretha Franklin e Miles Davis) con genitori separati, dai quali invece di un cane si è beccato una chitarra come amico fedele e, assolutamente da non da trascurare, Jack Owens come colonna sonora. Infatti a scuotergli la vita è stato proprio lui, un documentario intitolato “
The Land Where the Blues Began” ha sollevato un velo, dove
Mississippi Gabe Carter ha potuto iniziare a scorgere le tradizioni del blues.
Col nickname -
Mississippi- è sceso sulle strade di Chicago, dove attualmente risiede (“
I used to play on the street in a neighborhood of Chicago called Garfield Park”, dice Gabe. “
I got to be popular with the older black men there, who are mostly from down south. ‘Mississippi’ is what they called me. Actually, if you are getting technical, it’s more like “Missippi”), lì ha trovato linfa anche per
Until They Drag Me Down, il secondo disco, nuova casa discografica –sempre di Chicago- ma sempre lo stesso studio di registrazione, un garage in aperta campagna.
Gabe Carter è diretto fino alla rudezza, si impossessa dell’immaginario emotivo del Delta Mississippi sin dalla flemmatica
Black Woman e ne trae continuo nutrimento per la splendida
If You Call It Gone, ma è il tema di fondo di
Until They Drag Me Down, poche note ossessivamente ripetute sulle quali si innestano i vocalizzi-lamenti di
Mississippi Gabe Carter.
Rapinosi e maliardi tra
What You Gonna Do,
Goin' Down Slow,
Amtrak Blues,
Chilly Wind e le suggestiva
Let Me Go, ma oltre ponte, il suono riesce anche ad avvolgere evitando di stazionare nella risacca modulare del blues. Perle come
I'm Going Home,
Walking Down To Gary o quelle comandate solo dalla slide guitar in
Let's Walk,
Lonesome Road Blues,
Peaches, la fatale
Baby,
Please Don't Go, hanno melodie volutamente spoglie, i raggi di sole fanno fatica a manifestarsi sulle sponde di
Until They Drag Me Down, ma anche quando ci riescono in tutto il loro splendore, le melodie hanno una tale sporcizia da appannare gran parte della luce che emettono. Ma
Until They Drag Me Down dimostra che può esserci bellezza anche nelle acque torbide del Mississippi.