Granitico anche il secondo disco del power trio capitanato dal californiano Dave Osti,
Burning Down The Dirtshack si salda perfettamente a
Voodoo Guitar, ne costituisce quasi un’appendice, concreto e sempre più incline alle illusioni del blues/rock, una furia ma con delle zone morte nelle quali la chitarra lavora incessantemente.
Stacchi netti, folgoranti, riffs che arrivano diretti all’ascoltatore,
Get Your Gun,
Re-run e i virtuosismi di
Dirtshack è spazio che accoglie e rigenera
Dirty Dave Osti in grado di tracciare linee melodiche orizzontali o diagonali avvolgendo
Burning Down The Dirtshack e lasciandolo vagare seguendo il movimento del rock in un happening invernale (
Blues Don't Lie e
Freedom Fight), un fuoco che brucia anche tra una
First Degree e
Broken Man, più dolci, e un paio di classici blues come
She's A Natural e
Pile Of Gold, ma nessuna fuga dalla nettezza visionaria anni’70, il campo si restringe ad una sensibilità liminare, sempre un po’ stordita ma più dilatata come nello splendido uno-due nel finale di
Ball And Chain e l’unica cover,
Midnight Rider degli Allman Brothers.
Dirty Dave Osti si sbilancia, è capace di coinvolgere e ricomporre i pezzi di un sound esploso –forse fino alla disintegrazione-, ma oggi ne abbiamo più che mai bisogno.