La svolta per
San Juan Street si trasforma in rivelazione per il chitarrista e songwriter di Austin, apertura di occhi –e di orecchi- per
Shawn Nelson nel passaggio ai tempi dilatati del tex-mex e del rock. Irrompono nel quarto disco -prodotto da Joel Guzman- allo stesso modo della forza dei paesaggi che dominano ampie colline ondulate, di nuvole che mosse dal vento caldo, accendono e spengono il sole e le strade come
San Juan Street.
Tutto pane per i denti di coloro che sanno arrivare a destinazione attraverso un minimo di sacrificio, e la gavetta di
Shawn Nelson è stata lunga, ha diviso tempo prezioso con i songwriters
Guy Clark (“
Guy said Townes was the best songwriter that ever lived, and if I wanted to write songs I should study him, and I’d be just fine. I’m not sure I’ve even scratched the surface of that study”) e
Robert Earl Keen (“
I was inspired by Robert Earl because he seemed like a normal guy,” dice Nelson. “
He grew up in Houston as I did, and then went to Texas A&M and started playing in college. It kind of opened my eyes and I thought, wow, maybe I can do that”), dal college si è trasferito per un breve periodo a Nashville a lavorare per la songwriter
Liz Rose ma il richiamo del Texas è sempre stato forte.
Ad Austin ha iniziato a suonare con la
Frontage Road, un altro paio di band come i
Crazy Chester ed esperienze tra Dallas e Houston prima dei 3 onesti dischi insieme ai
The Ramblers -
Shawn Nelson & The Ramblers del 2004,
Live From Antone’s del 2005 e l'interessante
Ain’t No Easy Way del 2009, nei quali country, rock e americana si aggregano in modo prospettico senza smarrire una chiara identità texana- alle ultime collaborazioni con
Joel Guzman (che il nuovo disco l’ha poi prodotto), allargando l’orizzonte melodico/strumentale dei
The Ramblers con musicisti della South Austin Jug Band, la violinista Trisha Keefer e alcuni jazzisti della scena musicale di Austin come il trombettista Ephraim Owens.
La splendida
Nobody Got a Hold On Me si porta dietro pulviscoli rock&country tutti uguali, ammucchiati e portati lontano dal vento del deserto sulla strada per il Messico della fisa, mandolino e tromba di altri gioielli come
Dreams in the Desert e la conclusiva
San Juan Street, e lì il lato creativo di Nelson divampa (“
I try to write songs that tell the human story, whether it’s war, economics, social struggles, bad weather, ancient mysteries or love. And I try to stick with characters that have a choice to make, a hill to climb or a obstacle to overcome. I feel like I’m a character in this human story as well”).
La bellezza romantica di
More Than California e
Mercy non appartiene al presente ma non rimpiange un passato a cui spesso
Shawn Nelson mette delle lenti deformanti, del country e violino in
Hit the Road e
Anna Lee per ritornare alla New Orleans delle esperienze da ragazzo fino all’urugano Katrina, agli scatti, passioni vissute ‘on the road’ nel taglio elettrico della seconda parte (
I Can't Hide,
Down Here, le brillanti
Babylon e
Hollow Moon, anche nella ballad
There's Time), con una sorpresa nel finale, col tempo reggae di
Daydreamers. Troppa testa assorda il cuore,
Shawn Nelson lascia fluire i sapore tra Texas e Messico e ci spedisce una cartolina da
San Juan Street che non ha bisogno di francobollo. Perché Vola.