SHAWN NELSON (San Juan Street)
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  Recensione del  30/12/2011
    

La svolta per San Juan Street si trasforma in rivelazione per il chitarrista e songwriter di Austin, apertura di occhi –e di orecchi- per Shawn Nelson nel passaggio ai tempi dilatati del tex-mex e del rock. Irrompono nel quarto disco -prodotto da Joel Guzman- allo stesso modo della forza dei paesaggi che dominano ampie colline ondulate, di nuvole che mosse dal vento caldo, accendono e spengono il sole e le strade come San Juan Street.
Tutto pane per i denti di coloro che sanno arrivare a destinazione attraverso un minimo di sacrificio, e la gavetta di Shawn Nelson è stata lunga, ha diviso tempo prezioso con i songwriters Guy Clark (“Guy said Townes was the best songwriter that ever lived, and if I wanted to write songs I should study him, and I’d be just fine. I’m not sure I’ve even scratched the surface of that study”) e Robert Earl Keen (“I was inspired by Robert Earl because he seemed like a normal guy,” dice Nelson. “He grew up in Houston as I did, and then went to Texas A&M and started playing in college. It kind of opened my eyes and I thought, wow, maybe I can do that”), dal college si è trasferito per un breve periodo a Nashville a lavorare per la songwriter Liz Rose ma il richiamo del Texas è sempre stato forte.
Ad Austin ha iniziato a suonare con la Frontage Road, un altro paio di band come i Crazy Chester ed esperienze tra Dallas e Houston prima dei 3 onesti dischi insieme ai The Ramblers - Shawn Nelson & The Ramblers del 2004, Live From Antone’s del 2005 e l'interessante Ain’t No Easy Way del 2009, nei quali country, rock e americana si aggregano in modo prospettico senza smarrire una chiara identità texana- alle ultime collaborazioni con Joel Guzman (che il nuovo disco l’ha poi prodotto), allargando l’orizzonte melodico/strumentale dei The Ramblers con musicisti della South Austin Jug Band, la violinista Trisha Keefer e alcuni jazzisti della scena musicale di Austin come il trombettista Ephraim Owens.
La splendida Nobody Got a Hold On Me si porta dietro pulviscoli rock&country tutti uguali, ammucchiati e portati lontano dal vento del deserto sulla strada per il Messico della fisa, mandolino e tromba di altri gioielli come Dreams in the Desert e la conclusiva San Juan Street, e lì il lato creativo di Nelson divampa (“I try to write songs that tell the human story, whether it’s war, economics, social struggles, bad weather, ancient mysteries or love. And I try to stick with characters that have a choice to make, a hill to climb or a obstacle to overcome. I feel like I’m a character in this human story as well”).
La bellezza romantica di More Than California e Mercy non appartiene al presente ma non rimpiange un passato a cui spesso Shawn Nelson mette delle lenti deformanti, del country e violino in Hit the Road e Anna Lee per ritornare alla New Orleans delle esperienze da ragazzo fino all’urugano Katrina, agli scatti, passioni vissute ‘on the road’ nel taglio elettrico della seconda parte (I Can't Hide, Down Here, le brillanti Babylon e Hollow Moon, anche nella ballad There's Time), con una sorpresa nel finale, col tempo reggae di Daydreamers. Troppa testa assorda il cuore, Shawn Nelson lascia fluire i sapore tra Texas e Messico e ci spedisce una cartolina da San Juan Street che non ha bisogno di francobollo. Perché Vola.