HANK III (Ghost To A Ghost / Guttertown)
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  Recensione del  29/11/2011


    

4 dischi, 2 country e 2 metal. Solo Hank Williams III è in grado di fare una cosa del genere o più semplicemente, si tratta di accettare una deviazione dalle regole del mercato (impensabili con la Curb Records), ma possibili per la Hank3 Records. Rinchiuso al The Haunted Ranch, casa-studio in quel di Nashville, conia un nuovo genere musicale (il ‘cattlecore’) per il tributo 3 Bar Ranch: Cattle Callin', speed metal allucinante e poco digeribile lontano dagli Assjack, la band che lo accompagna dal vivo e fedele al doom metal, quello che contraddistingue Attention Deficit Domination (“Both A.D.D. and Cattle Callin are very intense,” precisa Hank3. “It’s hard to follow, even for the guys I play with. I’m playing everything on these two. It’s very complex”). Zuma e rallenta, spettacolare e non privo di risorse, ne svela quelle crepature che contraddistinguono i due personaggi che vivono in Hank III.
Non sono speculari, meglio, non si contagiano, ma si compenetrano a vicenda e Ghost To A Ghost / Guttertown mostra questa mutazione, lo spostarsi ad un country fuorilegge che continua a scorrere nelle vene di Hank III (“I have musical freedom. I’m able to say ‘Here’s my record’ and I don’t have to go through a million different channels just to put out a song,” dice Hank. “It’s all me now”). Storie ed emozioni che non hanno nulla di garbato, ma la vera country music non lo è mai stata, in viaggio verso Gutter Town (la seducente title-track), a raccontare nei minimi dettagli la vita rurale così ardua pur nella levità del suo fluire, così intrisa di squarci lirici affidati al banjo di Daniel Mason, alla steel di Andy Gibson, al violino di Daniel Mason e la chitarra di Johnny Hiland. Il passo è spedito, tinte bluegrass nella splendida Gutter Stomp, demoniache in Ridin’ The Wave e Troopers Hollar a puntualizzare un rapporto fra dolcezza e violenza che assomiglia al movimento di un pendolo, ecco la fisa che si unisce all’alcohol ed entra nella selvaggia Outlaw Convention, nella scanzonata e scurrile luminosità di Cunt Of A Bitch e Dont Ya Wanna.
Hank III modula Ghost to A Ghost su timbri diversi e contrapposti, in un’armonia vibrante e avvolgente (meravigliosa nel passaggio acustico di Ray Lawrence Jr., ‘outlaw singer’ a cui concede un paio di perle acustiche racchiuse in 7 minuti) nella intensa The Devils Movin In, cercando di andare oltre una relazione andata male, riflettendo sugli umori, le speranze e le paure come un giovane ribelle, nichilista nella struggente Time to Die quando parla dei propri eroi osservandone lo sguardo “It might have been drugs or it might have been love / But they all knew when it was time to die.” Ghost to A Ghost chiude con la voce cavernosa figlia di Rebel Within ma appartiene a Tom Waits, un duetto perfetto che serve a introdurre Guttertown, il secondo disco. Sulla scia di Straight to Hell, ben 7 canzoni sono strumentali e raccolgono rumori perlopiù notturni come nelle rane dell’iniziale Goin To Gutter Town, ma invece di una traccia unica, stavolta ci sono ben 19 brani, con le special guest (sono tante e illustri, da Alan King degli Hellstomper, Les Claypool dei Primus, Dave Sherman, Troy Medlin al fedele cane Trooper) arriva un’altra piacevole sorpresa, il cajun e i sapori messicani al confine col Texas.
Lo spazio e la sua misura coagulano e conformano intorno all' incantevole luminosità di Gutter Stomp, Musha's, Dyin Day, I'll Be Gone, Fadin Moon, I'll Save My Tears, tra suoni caldi, volti e corpi poco soggetti all’amore, si aprono paesaggi mai abbastanza esplorati (le ballads, I Promised e Move Them Songs) dove le strumentali scorrono e sfuggono, ma facce della stessa medaglia di Ghost To A Ghost / Guttertown. Eppure non si perde mai la sensazione che tutto sia necessario e che tutti quei difetti sonori siano volute mancanze per Hank III[/b], uno dei pochi capaci di sminuzzare il proprio talento per dimostrare la forza della sua musica.