SCOTT H. BIRAM (Bad Ingredients)
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  Recensione del  29/11/2011
    

Scott H. Biram resta un solitario, non ha bisogno di batteristi e bassisti, ai segni codificabili ‘dalla massa’ ha scelto di fare tutto da solo nel chiaroscuro e nelle linee curve della ’59 Gibson, di un blues rasposo -come la sua voce-, affogato nel delta mississippi a rivangare le gesta di simpatici bastardi romantici e sempre nel ricordo di Lightin’ Hopkins.
Dalla casa-studio di incisione ad Austin, nel Texas, arriva il quarto disco per la Bloodshot Records, Bad Ingredients distilla energia ‘plebea’ e selvaggia, ritaglia il ritmo sbrindellato con le corde della Gibson ed arriva ad estrarre la carica eversiva di un ‘dirty blues’ muscolare e ruspante racchiuso nella saggezza: “Every day I am thankful for being alive. It crosses my mind pretty often. It definitely helped my career a little bit by giving me some kind of back-story, but, at the same time, I’m always having to tell people, ‘Look I play music. I didn’t just get hit by an 18 wheeler.’” Bad Ingredients è un cocktail di whiskey, humor dissacrante e pillole che scendono dolci nell’avvio acustico di Just Another River, rigira con disinvoltura tra le corde della chitarra tematiche politiche e sociali, l’occhio è tra la folla ad invitarli ad entrare nei ‘bad dreams’ di Scott H. Biram, ed è sempre meglio che non sognare.
L’amplificatore è come al solito difettoso, si accende e si spegne ad intervalli regolari, granitiche e senza respiro Dontcha Lie To Me Baby e Wind Up Blind, riflessive Memories Of You Sweetheart e Open Road, le parole pesano, da una parte accolgono la memoria che illumina il presente (cover del bluegrass singer Bill Monroe) e dall’altra nel rifiuto di un passato sentito come forza disgregante, quello che serve all’epico splendore di Victory Song dove sembra balenarsi una compassione aristotelicamente intesa come comunanza di dolore.
A Bad Ingredients inizia a mancare l’aria, cessa l’attrito sulle corde della Gibson nella strumentale Black Creek Risin’ alla meravigliosa ballad di Born In Jail e si dispiegano fulminei scatti che anticipano ciondolanti fendenti che non incontrano nessuno ostacolo, la leggerezza o meglio l’aria di una sospesa trascuratezza solca storie d’amore singolari, colorite in I Want My Mojo Back col gran lavoro al sax di Walter Daniels, e può capitare che ci sia una dilatazione sulle corde della Gibson come nella splendida Have You Ever Loved A Woman o frammentazioni narrative tra il malinconico della deliziosa Broke Ass e la raggiante metafora di Killed A Chicken Last Night (“The main character in the song is in love with a Louisiana woman who likes to drink a lot and is never satisfied, so he goes out and kills a chicken” dice Biram) concludendo con una meravigliosa accelerazione in Hang Your Head And Cry che Scott H. Biram lascia volutamente in coda a Bad Ingredients, come una lettera d'amore che ha sbagliato indirizzo.