ADAM HOOD (The Shape of Things)
Discografia border=Pelle

        

  Recensione del  29/11/2011
    

Continuano ad incrociarsi in Adam Hood, l’Alabama, e il Texas (“There’s a lot of country influence in it, a lot of blues in it, that’s kind of what I was raised on”), The Shape of Things prende vita in una serata particolare alla Tavern on the Green alla presenza della songwriter Miranda Lambert, “I gave her a CD”, dice Adam. “Two weeks later her mom called and said they wanted me to play a birthday party, and so I drove to Chicago and played. Then I started opening for them and she introduced me to Frank (Liddell, che il nuovo disco lo ha prodotto per la Carnival Music -n.d.a.) and the guys I write for now. So a little divine intervention is the way I look at it.”
Il passato e il presente sono due poli verso cui tende The Shape of Things, (“It’s kind of, a little bit more introspective of a record, i kind of went back and king of reevaluated my life, I’m not on the road as much as I used to be. I also played a lot of guitar on the record and I co wrote a lot on the record. It was like a 3 year process”), prosegue lungo uno stile elettrico caro ad Adam Hood –country, rock e americana- senza rinchiuderli in spazi diruti e oppressivi, la steel di Mike Henderson, la voce calda e i tempi agresti texani prendono piede sin dalla luminosa Hell of a Fight, melodia distesa e modulata da ascrivere ad un songwriter capace di evocare paesaggi sconfinati mentre parla della sua vita sulla strada in polemica con le produzioni country di Nashville, che ricamano sul nulla e vanno consumate a stomaco pieno.
Brani come Flame And Gasoline e I'll Sing About Mine sono i ‘fuori fuoco’ di The Shape of Things, melodie radiofoniche ma lontano da brani in cui tutto si sfuoca (forse l’unica è la ballad Moving Mountains), con lo spirito sudista a portare un vento salutare alle liriche della deliziosa Grandpa’s Farm e lungo le sponde del Mississippi river di Tennessee Will dove poter mostrare l’universo interiore di un songwriting sempre palpabile e senza aloni di sovra-esposizione a renderlo scontato.
La steel ‘prende corpo’ nella title-track, in Once They're Gone e Gonna Take a Woman, si modella su superfici melodiche variabili e ne amplifica la piacevolezza, coro e spirito dell’Alabama avvolgono Front Porch Thang, la splendida Hard Times in the Land of Plenty, zavorrano la lap steel nella raggiante New Deep Ellum Blues. Sono le molteplici sfumature di The Shape of Things, un disco tra materico e luminoso, vitale come un sogno, un biglietto aereo.