John Hiatt è sempre stato affascinato da quel passaggio irreversibile, magico e crudele, dalla provincia al luogo dove poter misurare le identità, gli inganni e le opportunità della metropoli, sporcata col rock-blues nella splendida
Damn this town e giù dritto al cuore delle disillusioni di New York City. Un paesaggio colmo di incroci, di strade e di indicazioni che spingono, attraggono in una direzione e contemporaneamente in quella opposta, sfumando nella steel stregata della successiva ballatona country,
Til I Get My Lovin' Back ma ovunque si scelga di andare, non si incontreranno altro che situazioni già ‘viste’ almeno una volta, già lette sulle pagine della discografia di
John Hiatt.
Ma è una scelta felice, divisa per la terza volta con Kenny Blevins alla batteria, Patrick O’Hearn al basso, e Doug Lancio alla chitarra, perché
Dirty Jeans and Muslide Hymns conferma lo stato di grazia di
John Hiatt, sincero per come contempla il presente senza nascondere un quadro generale -prima della caduta delle torri gemelle- che rispecchia una società che ghettizza il povero bene e che più avanti simboleggierà la dolorosa caduta sociale figli di squilibri economici mai risolti.
Osservazioni sulla stato di vita dell’America bilanciate tra rock, influenze country/roots (lap steel e fisa in
All the Way Under, la steel ammaliante in
Adios to California) e il caro blues,
John Hiatt l’avevamo lasciato sulla strada con l’ottimo
Open Road e lì lo ritroviamo anche stavolta ("
All the other years, my songs are about coming home," dice Hiatt). In
Dirty Jeans and Muslide Hymns ci sono canzoni intorno alle automobili, il rock secco di
Down Around My Place e di
Detroit Made (a bordo di una
Buick Electra 225, una di quelle macchine in cui la carrozzeria conta quanto il motore).
Ai treni, immancabili (blues sempre brillante per
Train To Birmingham che per fortuna torna spesso a trovare), e tante luci mai fuori quadro (
Don't Wanna Leave You Now e la ballad
Hold On for Your Love) e mai troppe parole fuori luogo (
I Love That Girl) chiudendo con il tributo all’
11 Settembre di
When New York Had Her Heart Broke, dove la melodia è tenuta su un registro di interiorità, lì dove l’amore sarà seppellito dalle macerie.
Dirty Jeans and Muslide Hymns non sarà perfetto, ma è ancora il
John Hiatt migliore, quello che non solo sa come usare la penna ma soprattutto il cuore, muscoli e chitarre.