PHILIP GIBBS (The Petroleum Age)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  28/08/2011
    

Il quarto disco del folksinger di Austin è come un road movie temporale che parte dal Central Texas dove lo zio Barnett Gibbs muoveva i primi passi come senatore a Dallas (città che lo ha visto diventare governatore), e sulla scia di emendamenti politici dettati dal nascente mercato petrolifero, costruisce una vera e propria ‘poetica folk della sottrazione’. Questi sono gli elementi che Phil Gibbs importa in The Petroleum Age, li tira per i bordi e li strasporta nel presente rivisitando storiche incisioni come farebbe un saggio Woody Guthrie e immergendo nuove incisioni nel folk texano seguendo l’impronta di un giovane Guy Clark.
Il delizioso folk tagliente della title-track è lì pronto a risucchiarti come satelliti dalla forza di gravità, di confessioni e delazioni giuste, e in certo senso spietate tra la intensa ballad di Stephen F. Austin's Blues e una fiammante Sam Houston's Blues a dare un’ampia visione sulla sanguinosa battaglia di San Jacinto. Folk e american roots elettro-acustico nei quali Phil Gibbs insieme a un gruppetto di musicisti di spessore (c’è anche Will Sexton) riesce ad aprire pertugi intriganti nei quali esprimere –noto dopo nota- le problematiche di una vita difficile (Gallows' Orphan e la conclusiva ballatona di I Didn't Notice) che scivola via uguale a se stessa, ma dove c’è sempre spazio per il fuoco dell’amore e il lato ‘border’ della lap steel nelle splendide To Block You from My Eyes e Silver Dust -bel duetto con il banjo, a suggellare il lato romantico del songwriter texano.
Una scrittura solida con cui spogliarsi progressivamente di tutte le barriere che stratificate nel tempo hanno chiuso in una scatola le tematiche di denuncia affiancate alla scelta di un frizzante blues chitarristico, In the Middle of the Evening, solare come l’armonica di 30 Minutes at the Station, al rock macchiato di roots dalla gagliarda Cold Comfort of Being Blind alla shietta Sitting in an Alley, rappresentano i salti fondamentali del registro espressivo e melodico di The Petroleum Age, ma anche il punto di svolta di Philip Gibbs.