JEREMY STEDING (I Keep On Livin’, but I Don’t Learn)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  28/08/2011
    

Il country di Jeremy Steding spinge verso il Sud le distorsioni della telecaster e la storia di I Keep On Livin’, but I don’t Learn (terzo disco prodotto da Walt Wilkins e scritto anche col contributo del songwriter Mike Ethan Messick) diventa più elaborata e più riflessiva di un recente e dignitoso passato, in special modo per Whiskey Songs and Prison Songs: folk, honky tonk, country (“I live in Texas and play Country Music, but its not what's traditionally known as Texas Country. Its what I call 'Vintage Country, fried in Americana Batter'") Jeremy Steding predilige una struttura melodica frammentaria che ben si adatta al respiro ‘picaresco’ di I Keep On Livin’, but I don’t Learn, ogni brano anche se origina riflessioni amare -a tratti graffiante, i risultati non sono mai discontinui e talvolta decisamente brillanti.
Il cuore e l’anima del countryman della Florida vien fuori nel felice avvio di Annie Ray e della godibilissima title-track -duetto con M.E. Messick-, l’honky tonk è saltellante, ruspante ma il ragazzo sa essere riflessivo, affidarsi alla steel per abbellire Sometimes, You Need a Hurricane, alcolico e ‘filosofico’ da buon texano in My Best Tequila (Until Then) sempre l’ideale per tirare fino a tarda notte, dove poter trovare colore, calore, pianto e riso in ballate tra folk e country, riuscite come Arkansas Rain, Paint the Town Red e When They're Blue, incerte in The Old Man on the Bridge, Brandi Sue, You and Me and the Mockingbird, perché soffrono di respiri differenti, troppo meditative e non riesce a convincere, o forse non vuole farlo ad un solo ascolto.
Ma Jeremy Steding resta un songwriter onesto, un nuovo cantastorie che ha saputo trovare negli interstizi del country nuovi possibili spunti narrativi e la riprova è nel finale datato 1800, nel Far West e la guerra civile della meravigliosa ballad all ‘Cash’ di Don't Take Your Guns to Town e i violini riflessivi di Five Aprils. I Keep On Livin’, but I don’t Learn è un disco gibboso. È fatto di saliscendi. Sale sullo sfondo country, scende nelle ballate. Ma il modo in cui si addentra nei sotterranei dell’anima aiuta ad attenuare quelle poche incertezze.