WALT WILKINS (Rivertown)
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  Recensione del  26/02/2004
    

Si dovesse compilare una lista di songwriters texani, Walt Wilkins sarebbe il primo nome da inserire sotto la voce misconosciuti. Più noto in Texas come "il vecchio Walt Wilkins che vive su a Nashville", egli arriva al suo terzo album dal titolo Rivertown, realizzato per l'indipendente Western Beat. Texano autentico, Walt è cresciuto tra Austin, San Antonio, con una parentesi a Honolulu, ha suonato per anni la chitarra solista in bands d'altri cantautori prima di iniziare ad esprimersi per proprio conto. Egli ha all'attivo la colonna sonora di tre films minori ed una cassetta autoprodotta dal titolo "Blue dreams", che rappresenta il suo debutto discografico.
Questa gli è valsa la possibilità di firmare, come autore, per una casa d'edizioni di Nashville, e registrare il primo ed che contiene il meglio del suo repertorio. Bull Creek souvenir ('94) è un gioiello semplice, lineare, senza fronzoli di pura ed asciutta musica texana. Walt scrive ed interpreta country-folk ballads di grande spessore, che esprimono storie ed emozioni semplici e comuni ma trasudano sentimento, nostalgia e tristezza che sembra stemperarsi solo nella purezza dell'essenziale tessuto sonoro che le avvolge. Sonorità magistralmente scarne, secche ed asciutte, ma non aride, sono espresse da pochi strumenti a corda, da essenziali arrangiamenti per chitarra, mandolino, steel guitar, dall'impalpabile supporto ritmico.
...One of Austin's best young lyrical craftsmen è anche un ottimo interprete, dotato di uno stile vocale misurato, confidenziale, quando non intimistico, che ben s'integra con gli arrangiamenti strumentali di Bull Creel souvenir. Una voce calda, dolce e levigata, ma carica e penetrante, capace di esprimere emozioni intense e di arrivare al profondo. Walt Wilkins firma eccellenti brani che macinano lento, ma catturano inesorabilmente se gli si presta la dovuta attenzione. Ruby's two daughters, enigmatica ballata, il country di Back in love and blue, la toccante As beautiful as now, l'elegiaca Rain in Lafayette: ognuno è caratterizzato dalla presenza di uno strumento, una chitarra, la steelguitar, il mandolino o l'accordion. Un personaggio che sembra esprimersi con toni indelebili attraverso emozioni immortali.
Solitudine, inquietudine, dolore e nostalgia, sembrano popolare le sue ballads, antichi spiriti che non sembrano mai aver abbandonato il cuore e la mente dell'uomo. Buono poi è il suo secondo album, Fire honey & angels, che lo vede affrontare il nuovo millennio. Il cd, datato 2000, arriva, ancora una volta grazie ad un'indipendente, ben sei anni dopo Bull creek souvenir. L'abbiamo inseguito per anni tra il Texas e Nashville, dove vive e lavora soprattutto come autore (Ricky Skaggs, Ty Hemdon, Pat Green e tanti altri prima di loro hanno usufruito delle sue canzoni); quando ormai si disperava di trovarne le tracce, eccolo riapparire grazie a una sussidiaria della Dead Reckoning.
Tanti giovani texani sono stati incensati dalla stampa Usa e da quella nazionale, ma che dire di questo talento dell'alternativo countryfolk movement, in grado di farci sentire in ogni sua canzone proprio fire honey & angels? Ballate dalle sonorità elettroacustiche evocano i grandi cantautori countryfolk dei 70s, illustri texani contemporanei che è inutile citare e personaggi come Kevin Welch e, anche se meno che nel precedente album, il suo antico mentore Gram Parsons (ascoltare i brani con le voci femminili in sottofondo, Sandy Ioan e A Utile farther west). Accompagnato da un'eccellente country band dell'altra Nashville dove troviamo tre chitarre, lo stesso Walt, Noise Sheridan (autore di Mechanicsville, unico brano che non porta la firma dell'interprete) e Rick Plant, una steel guitar, Mick Daly, da un violino, Tim Lorsch, e da una sezione ritmica, Nick Pellegrino e Bill Block, W. W. ci regala una dozzina di brani di rara intensità, armonia e bellezza.
Texas stories e love songs, che si tingono di country, di folk, di blues, di bluegrass, di countryrock. Don't make me do it, scritta con il compianto Hyatt, è emblematica. Molto vicino alle sonorità dell'album precedente è Rivertown, registrato a Nashville quest'anno e prodotto dallo stesso Wilkins con Mark Prentice. Accompagnato da uno stuolo di musicisti locali di primo'ordine come Rick Plant, Tim Lorsch, Mark Prentice, Mike Daly, Bill McDermott, John Gardner, Kathryn Styron e Fats Kaplin, Walt, chitarra e voce, mette in mostra le ultime perle del suo songbook.
Scortato da un magnifico booklet dove appaiono foto di città posate lungo la riva di fiumi, troviamo un album di autore che nulla ha da invidiare alle tante stelle del new country movement texano oggi di gran moda. Un ibrido tra Kevin Welch e Gram Parsons. Strumenti acustici ed elettrici si mescolano con una tale leggerezza e soavità dal non pesare sulla voce del protagonista che, con toni soavi ed armoniosi, canta, un brano dopo l'altro, facendo scorrere, placide e piane, le sue storie e le melodie.
Apre con la ballata, Poetry, solida quanto delicata e lirica grazie all'apporto di steel, mandolino e violino. Il testo è molto bello ("spero solo di aver imparato dai miei peccati"), non meno preziose sono le armonie vocali, per quest'anomala e intelligente country-song. Spacewalk è una ballata country su ritmi caraibici realizzata con una grazia più sinuosa della stessa melodia. Seguono una romantica e accorata country-ballad, Genevieve, '99 con il violino in evidenza e con Jon Randall alle parti corali, e l'acustica, nostalgica e notturna Walnut steet con solo violino e basso a supporto di un Wilkins molto ispirato ed espressivo. Waltz on the white sands, scritta da Tim Lorsch, è una delicata composizione old timey per due violini chitarra che introduce all'eterea One of those moments.
La storia di una giornata di neve a Nashville che prende gradualmente corpo con l'aggiungersi della ritmica e centrati interventi di accordion, steel e violino. Triste, livida e notturna è Night rain city, che vede il suo alter ego dell'Oklahoma Kevin Welch alle armonie vocali, è una ballata con un superbo stringsound dove brillano mandolino, violino, dobro e chitarre. Intensa e drammatica, scritta sull'onda emotiva della notizia di un suicidio ad Atlanta, si rivela Some men fall, con un bel sound delle chitarre e della steel che contrastano con il cupo canto del protagonista e della corista Roxy Dean.
Velvet sky, slideguitar ballad cantata con il supporto di Pat Green, e il mosso countryrock Hey tomorrow, con ancora Mike Daly alla slide e due chitarre elettriche, cantata con la moglie Tina Mitchell, chiudono l'album su cadenza ritmate. Un bellissimo walzer del sognante Tex-Mex feeling, con tanto di accordion, è la ghost track che appare dopo una manciata di secondi. Uno straordinario Walt Wilkins si cala nella parte, regalandoci un'altra perla (oppure è un sogno?) che sembra portata dalla brezza lontana, secca e terza di un immaginario westernbeat sound. Aggiungere "d'autore" è quasi superfluo!