DERYL DODD (Random As I Am)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  28/08/2011
    

Honky tonk, boots, donne, whiskey e la slide di Steve Rhian. Schema semplice e pulito nella spedita e godibilissima Baby Where's My Bottle, il singolo apripista del nuovo disco di Deryl Dodd (“I have been blessed to make music for this long. I never had a plan, still don’t. But, I hope it’s made a difference and done something good for somebody. That’s the whole reason I started doing it”) peccato che il countryman texano scivoli troppo velocemente su questo paesaggio agreste per indugiare e sistemarsi in quel lato del pop-country rimpolpato da melodie e ballatone elettro-acustiche sentimental-mielose, lì sistema parte di Random As I Am, luogo scelto dove trascorrere le lotte di cuore. Azzeccata allora rivedere Loveletters attraverso la steel malinconica di Junior Knight, di sedersi spesso al piano, ma se le canzoni fossero sempre condite da pedal steel e banjo come in FM 2213, Random As I Am non avrebbe bisogno d’ossigeno, invece preferisce l’aria viziata di una forzata, stanca melodia da buoni sentimenti cinematografici - Anybody Out There, Fallin', I'll Be Comin Home To You, Love Around Here.
Un mondo senza luci, senza colori quello di Random As I Am, condannato a riprodursi fino alla fine, su scale stilistiche diverse se non fosse per la spinta del lato texano, svegliato dolcemente in I Can Do This (Joy's song) per liberarsi nello splendido roots di Can't Say No To Larry Joe. È in grado anche di facilitare lo spostamento di violini e chitarre verso le fattorie di periferia, a tratteggiare un passaggio e un confronto con la città in Losin' Ground, quel tanto da far lievitare gli ingredienti di un songwriting, sarcastico, vero e grottesco da buon dramma, che trova nella voce grossa della telecaster gli spunti per stare lontano da ogni frivolezza, Somethin Ain’t Always Better Than Nothin.
Il tutto sommato al country verace di One Night Too Long e alla ballatona elettrica di spessore di Who I Am, permettono a Deryl Dodd –seppur parzialmente- di liberarsi dal puzzo plastificato di melodie fatte ad uso del mercato commerciale, per dedicarsi alla vera musica. Country ‘made in Texas’.