Funambolico esploratore dell’American Roots, il nuovo giro per il Mississippi di
Grayson Capps riserva ancora sorprese, non tanto per il modo in cui continua a minare i meccanismi delle convenzioni sociali, scoprendone i nervi infiammati, ma nella scelta di lasciare per strada i
The Stumpknockers per caricare a bordo -tra Nashville e New Orleans- una nuova squadra di musicisti prima di tornare a casa, in Alabama, a incidere
The Lost Cause Minstrels.
La band aggiunge nuovi tasselli R&B al rock del mississippi, si incastrano l’uno nell’altra anche se l’appoggio della sezione fiati tende ad accostarli bruscamente in un flusso a volte forzato, lasciando intravedere soluzioni diverse, aprendo nuove prospettive non sempre condivisibili se pensiamo all’avvio di
The Lost Cause Minstrels, diviso tra l’armonica di una splendida ballad elettrica come
Highway 42 e le maschere e i ritmi di una festosa New Orleans utilizzate come sfondo per
Coconut Moonshine. Tutto si muove in modo spezzettato, frammentario anche se ritmato,
Grayson Capps registra tutto, alternando un autentico campionario di stili se aggiungiamo il gran lavoro alla slide nella muscolari
John The Dagger e nei 6 minuti di
No Definitions (da vecchia scuola blues) e l’hammond più coretto caraibico-gospel di
Yes You Are.
La tensione melodica resta, nella scelta brillante delle cover –toccante e notturna
Jane's Alley Blues di Richard Brown, calde e avvolgenti le inflessioni country della steel in
Annie's Lover di Taj Mahal- al messaggio sulle ingiustizie della storia americana, in una condivisibile prospettiva personale, nella deliziosa
Chief Seattle e seppur con qualche grado di febbre in meno (
Paris France rispetto ad
Ol’ Slac ha almeno una steel e il piano a cui aggrapparsi)
The Lost Cause Minstrels nel suo squilibrio resta immensamente suggestivo fino alla perla finale di
Rock ‘n’ Roll, dove tra la slide si condensa la forza del dentro e la crisi del fuori: ‘
Too many cigarettes and drinkin' every day….. Save my soul, save your own’.