JOHN DAVID KENT (John David Kent)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  28/07/2011
    

Play. Parte il nastro della storia di John David Kent. Indietro veloce, avanti piano. A sedici anni era sotto contratto con la Mercury, suonava la batteria nei Radish, rock band di ragazzini con un certo Ben Kweller tra le presenze. Vita felice fino al 1999, ha girato mezzo mondo compreso il Giappone, ha aperto concerti dei Metallica, ospite fisso a Lollapalooza fino a quando non è tornato nel ‘suo’ amato Texas a scrivere canzoni e produrre dischi nel ‘suo’ studio ‘The Vault’ ma solo per altri songwriters e senza distinzioni di generi. Le immagini si affollano, agitate come la vita di John David Kent, ma incompleta, per questo la scelta del country? “When I came off the road with Ben Kweller and settled down with my family back in Texas, a lot of the songs I was writing were subconsciously coming out with a southern flavor,” dice Kent. “I like taking the elements of traditional rock and country and blurring the lines. It’s a very natural evolution for me.”
In questa apertura ‘agreste’ i The Dumb Angels fanno da filtro, lampi di luce affidati alla pedal/lap steel e ai violini, mentre John David Kent offre il meglio della filosofia country, tra road songs, treni, pallottole e ballatone d’amore nostalgiche: Goodbye Gone lascia intendere come ci siano tutte le carte in regola per non dispiacere a nessuno essendo costruito su solidi codici country&rock, ampiamenti collaudati per far faville anche alla radio, I Want To Be o le piacevoli Runaway e A Place To Call Home. John David Kent divora la scena spargendo carisma bucolico in orizzontale e verticale, splendida Back To The Country, pura bellezza roots elettro-acustica nella coinvolgente Down To The Water, tanto da spiazzare l’ascoltatore per il modo in cui rende presente gli elementi di un country mainstream che di solito viene usato per ‘impaginare’ storielle precotte, non si va in cerca di vene d’oro sotterranee, bastano le melodie a scardinare ogni ragionevole dubbio anche dove è facile aspettarseli. Le storie leggere o d’amore -quelle dallo spessore di un nastro da seta, My Girl, la splendida You e Lover Undercover, non sono mai slabbrate, Kent insieme alla chitarra di Mike Grasha e il violino spiritato di Jason Andrew riesce sempre a coprire porzioni e forme melodiche che altri countryman faticherebbero a tenere vive alla lunga, specialmente per 15 brani.
Kent al piano brilla nelle intense In The Promise Land, Love's Just Another Word e nella struggente malinconia dell’incantevole Why Won't You Stay, la voce vira a toni pieni di colore e a una luminescenza diffusa quando tocca al sax entrare in scena. John David Kent scorre con naturalezza, senza granelli di sabbia negli ingranaggi e nel finale trova delle sporgenze rock molto intriganti in Killing My Head e soprattutto nelle travolgenti Ride It On The River e Two Shotguns. Se v'innamorate di un disco come John David Kent, frequentatelo, anche a costo di trascurarne altri decisamente più belli: scoprirete che ha sempre nuove cose da dirvi.